Sonno e alimentazione nello stato di salute delle persone. Come comportarsi *

di Angela CALENDINO *

Il 17 marzo ricorre la Giornata Mondiale del sonno, conosciuta in tutto i mondo come “World Sleep Day”. L’iniziativa è stata promossa per la prima volta nel 2008 dalla World Sleep Society e dall’Associazione Italiana Medicina del Sonno. Come mai si celebra proprio in questo giorno? Perché il secondo venerdì del mese di marzo è quello precdente all’equinozio di primavera: la stagione, simbolicamente, della nascita e del risveglio della natura che ha una forte influenza sul ritmo biologico di ognno di noi. Anche la qualità del sonno risulta essere influenzata dall’alimentazione. È il sonno sano che fa la veglia migliore. In apparenza banale, questa certezza si basa però su interazioni che di banale non hanno nulla: tra ambiente esterno e risposte endogene la modulazione è fine e a più livelli. Non stupisce quindi che entri in gioco anche l’alimentazione, centrata ovviamente soprattutto sul pasto che precede le ore di riposo e che, non per tutti e non sempre, coincide con le prime ore della sera: basti pensare ai turnisti, a chi prolunga studio o lavoro, a chi dedica le ore serali all’attività fisica. In line generale possiamo dire che il sonno gioca un ruolo essenziale per mantenere un buono stato di salute, a tutte le età, eppure la cultura della medi­cina del sonno è estremamente carente, essendo scarse le indicazioni qualificate su come promuovere uno stato di salute attraverso il sonno.  Il numero di ore necessarie a garantirsi un sonno ristoratore è molto variabile da persona a persona: tuttavia, si ritiene che una scarsa durata del sonno (meno di 6 ore nelle 24 ore) si associ a effetti negativi sulla salute e persino ad aumentata mortalità. Ma anche dormire in maniera eccessiva (oltre 9-10 ore al giorno) può essere associato a effetti negativi sulla sa­lute. La “quantità” ottimale di sonno nelle 24 ore, per adulti in buone condizioni di salute, in media, si ritiene che sia sulle 7-9 ore, anche se c’è una certa variabilità interindividuale. Natural­mente il numero di ore, e la qualità, di sonno necessaria varia a seconda delle età della vita: in particolare, bisognerebbe pre­stare attenzione al riposo dei bambini, tanto più se sono piccoli.  L’insonnia viene definita come un disturbo caratterizzato da dif­ficoltà a iniziare o mantenere il sonno, o da un sonno non risto­ratore e influenza la sensazione soggettiva di benessere, fino a determinare, durante il giorno, alterazioni di tipo psichico, cognitivo e somatico. È sicuramente il disturbo del sonno più comune, che riguarda, secondo i diversi studi, dal 10 al 30% della popolazione. Esisto­no diversi fattori che possono avere un impatto negativo sulla qualità e sulla quantità del sonno. Sono state identificate diverse cause dei disturbi del sonno, in generale, possiamo avere:

– l’insonnia da adattamento: è causata da stress emotivi in­tensi (perdita del posto di lavoro, ospedalizzazione, ecc.) che disturbano il sonno;

– l’insonnia psicofisiologica: è quella forma di insonnia (a prescindere dalla causa che l’ha scatenata) che persiste an­che quando i fattori scatenanti siano stati risolti, dovuta in genere all’ansia preventiva che i pazienti avvertono circa la prospettiva di trascorrere un’altra notte senza sonno;

– diverse patologie psicologiche/psichiatriche: in particolare disturbi dell’umore, ansia e abuso di sostanze sono spesso associate a eccessiva sonnolenza diurna e insonnia;

– le patologie organiche, che provocano dolore, sconforto o che peggiorano con il movimento (artrite, cancro, ernie disca­li), così come le crisi epilettiche o l’apnea ostruttiva del sonno, possono causare risvegli transitori e scarsa qualità del sonno;

– disturbi del ritmo circadiano, come jet lag e disturbi del sonno legati a turni di lavoro;

– possiamo poi avere un’eccessiva sonnolenza diurna, do­vuta tipicamente a vari impegni sociali o lavorativi che non permettono di dormire a sufficienza di notte;

– disturbi del sonno farmaco-correlati, che derivano dall’uso cronico o dall’astinenza di alcuni farmaci (alcuni anticonvulsi­vanti, antidepressivi, steroidi, contraccettivi orali, ecc.).

Se qualità e quantità di sonno notturno restano alterate a lungo, ne risente tutto l’organismo: dal sistema immunitario, al sistema nervoso centrale e al tono dell’umore, dall’apparato gastrointestinale, al metabolismo glucidico e lipidico; a soffrire di più è però il sistema cardiovascolare. È dimostrato infatti che la privazione cronica di sonno si associa ad aumento del rischio cardiovascolare: il legame più stretto tra disturbi del sonno e patologie cardiovascolari si manifesta nel caso delle apnee ostruttive nel sonno (OSA, obstructive sleep apnea). La presenza di OSA è infatti strettamente associata al rischio di ipertensione arteriosa, di aritmie cardiache (in primo luogo la fibrillazione atriale) e di ictus, infine di scompenso cardiaco.

Veniamo ora, nello specifico, a trattare quei comportamenti le­gati allo stile di vita che non favoriscono il sonno, per cui si parla di inadeguata igiene del sonno”. In molti casi, infatti, i disturbi del sonno sono secondari a uno scorretto stile di vita e alimentare e/o ad alcune malattie dell’apparato digerente.  Tra i comportamenti che possono favorire i disturbi del sonno, e che è possibile “controllare” da parte del paziente, bisogna considerare:

– l’esercizio fisico intenso, soprattutto se svolto in tarda se­rata, può essere un fattore che non concilia un rapido addor­mentamento; al contrario, anche una scarsa attività fisica può essere un comportamento che non aiuta ad addormentarsi: per questo, si consiglia una moderata attività fisica, svolta, come orario, nel pomeriggio-sera, purché non troppo tardi;

– uno stato di “eccitazione” eccessiva, dovuto magari alla visione di una trasmissione televisiva emozionante nelle ore serali/notturne oppure al lavoro intenso allo schermo di un pc;

– dormire fino a tardi la mattina, magari per compensare l’insonnia notturna, o fare un riposo pomeridiano troppo prolungato, può frammentare ulteriormente il sonno durante l’arco della giornata.

Ci sono diversi comportamenti legati allo stile alimentare e, in generale, di vita, che possono determinare disturbi del sonno. Negli ultimi anni è diventata un’abitudine diffusa, per molte persone, saltare i pasti durante la giornata e fare un unico pasto serale, molto abbondante. Per giunta, si tende a mangiare sem­pre più in fretta: questa mancanza di regolarità, e tranquillità, nel mangiare sono sicuramente fattori negativi. Così facendo, infatti, viene modificato il ritmo circadiano delle funzioni dei vari organi del nostro organismo, alterando la liberazione degli or­moni e dei neurotrasmettitori che regolano il ciclo sonno/veglia. Cene molto ricche di grassi e proteine, poi, rendono la digestio­ne più difficile e lenta, provocano difficoltà ad addormentarsi e sintomi quali reflusso esofageo, acidità gastrica ed esofagea e nausea. Questa associazione tra scarsa qualità della dieta e cattiva qualità del sonno è stata rilevata in diversi studi: è bene dire, però, che ancora non è ben chiaro se sia la cattiva ali­mentazione o lo stile alimentare a incidere negativamente sulla qualità del sonno oppure il contrario. In pratica, si è visto che i due aspetti, spesso, vanno di pari passo: resta da capire quale sia la causa e quale l’effetto.  Il sovrappeso, e a maggior ragione l’obesità, oltre ad avere un ruolo patogenetico importante nella malattia da reflusso ga­stroesofageo e nella steatosi non alcoolica, con i relativi asso­ciati disturbi del sonno, gioca un ruolo determinante nell’apnea notturna. Anche un aumento del peso corporeo “solamente” del 10% (es. da 70 a 77 kg) causa un aumento consisten­te della probabilità e della frequenza dell’apnea notturna. Per converso, spesso è sufficiente ridurre, anche di poco, il proprio peso corporeo per ottenere benefici immediati sulla qualità del sonno, senza bisogno di interventi o cure più impegnative. Quali sono nello specifico le interazioni tra alimenti, nutrienti e sonno?  È bene dire subito che, nonostante ci siano diverse osservazioni aneddotiche sui possibili effetti benefici del con­sumo di determinati cibi sull’induzione del sonno e sulla sua qualità, le ricerche scientifiche in proposito, ben condotte, sono numericamente abbastanza scarse. La maggior parte di questi studi ha valutato la maggiore o minore presenza nel plasma di singoli nutrienti (triptofano, vitamine del gruppo B, ecc.) assunti con i cibi come tali o eventualmente arricchendo l’alimento col nutriente da valutare. Un numero inferiore di studi ha preso in considerazione invece il consumo di determinati cibi, come tali, oppure interi modelli dietetici. In ogni caso, diverse ricerche hanno cercato di stabilire se ci potesse essere una relazione tra determinati nutrienti presenti nella dieta e la formazione di molecole ad azione favorente il sonno. In quest’ottica, è stato studiato, in particolar modo, il triptofano: questo aminoacido entra in com­petizione con altri aminoacidi neutri per attraversare la barriera emato-en­cefalica. Dal momento che nelle strutture cerebrali può essere convertito in serotonina, il precursore della melatonina (ormone che induce il sonno), sembrava ragionevole ipotizzare che una sua carenza o relativa minore presenza nella dieta rispetto agli altri aminoacidi potesse ridurre la “propensione” ad addormen­tarsi. Ci sono studi positivi ma sicuramente non in numero, e con una qualità metodologica, tale da poter arrivare a consiglia­re, in maniera specifica, il consumo di alcuni cibi.  In base allo stesso razionale, altre ricerche hanno valutato se il consumo di alimenti, relativamente ricchi di serotonina e mela­tonina, potessero favorire durata e qualità del sonno: in questo senso, risultati positivi si sono avuti facendo consumare ai soggetti alcune varietà di ciliegie più aspre (tipo amarene). Seppur non sostenuto da molti studi, si ritiene che i cibi speziati e piccanti non favoriscano un buon riposo, così come un consumo eccessivo di alcool in orario serale. Stesso discorso si può fare per i formaggi stagionati e le carni insac­cate e affumicate o gli alimenti inscatolati per gli alti livelli di tiramina che potrebbe non facilitare il sonno.  Se si considerano invece le classi di macronutrienti, una cena ricca di carboidrati complessi sembra possa essere un fattore positivo nel migliorare i disturbi del sonno. Un discorso a sé merita la bevanda preferita da molti, cioè il caffè: è esperienza comune che la tolleranza individuale alla caffeina sia estremamente variabile da persona a persona. In media, 3-4 tazzine al giorno sono tollerate dalla maggior parte delle persone. I dati scientifici disponibili, però, portano a consigliare ai pazienti sofferenti di insonnia o, in ge­nerale, di cattiva qualità del sonno, di astenersi dall’assumere caffeina; quindi, evitare di bere caffè, ma anche non assumere altre bevande o alimenti che possano contenere caffeina o al­tre sostanze “stimolanti”, come tè, cioccolata, bevande “ener­gizzanti”, ecc. Tutto questo non solo prima di coricarsi o nel pomeriggio, come viene generalmente consigliato o si pensa comunemente, ma anche durante la mattina. Per concludere, al momento, non sono molti gli studi che abbiano valutato, in maniera sistematica, la relazione tra dieta/alimenti e sonno, per cui non è possibile dare consigli “definitivi”. Sulla mancanza di certezza degli studi, c’è da dire che, spesso, i di­sturbi del sonno sono associati a stati di depressione e/o stress, per cui risulta difficile distinguere questi problemi psichici con i disturbi legati all’insonnia. A ogni modo, quel che possiamo dire al momento è che:

– è opportuno ridurre il peso corporeo se in eccesso;

– è necessario evitare cene molto abbondanti, soprattutto di cibi elaborati, ricchi di grassi e proteine;

– il consumo di diete ad alto contenuto di carboidrati complessi sembra favorire il sonno;

– evitare il consumo di caffè, e di altri alimenti/bevande che contengono caffeina o sostanze “stimolanti” (metil-xantine), almeno fin dalle prime ore del pomeriggio, ma, nei soggetti particolarmente sensibili a queste sostanze, anche durante la mattina;

– alimenti specifici, contenenti serotonina, melatonina e fitonu­trienti (ciliegie amare) o ricchi di triptofano (latte), così come un consumo adeguato di frutta e verdure, potrebbero dare dei benefici, anche se sono necessari studi più approfonditi che possano confermarlo. Infine, per quanto riguarda gli integratori che favoriscono il sonno, tra le sostanze più comunemente utilizzate per l’insonnia, è la melatonina. Fisiologicamente, la melatonina è un ormone prodotto anche dall’organismo umano, sotto lo stimolo dell’esposizione della retina alla luce solare. La melatonina presente nelle preparazioni nutraceutiche è invece di estrazione vegetale (per esempio dalla ciliegia). Questa molecola può essere quindi assunta a dosi e con orari di somministrazioni da adattare al disturbo del sonno da correggere: compito del medico è individuare la necessità del soggetto, di anticipo di fase piuttosto che di un posticipo (come nei casi di jetlag o di lavoro turnista). Un’altra molecola a impatto diretto sull’induzione e la continuità del sonno è il triptofano, un aminoacido che entra nella sintesi sia della melatonina, sia della serotonina, un neurotrasmettitore che partecipa alla modulazione del sonno e del tono dell’umore. Si può ricorrere anche a valeriana, teanina, luppolo, passiflora, camomilla, biancospino, melissa, griffonia e iperico, che agiscono direttamente sull’induzione del sonno (valeriana, camomilla, melissa) o, indirettamente, sia migliorando il tono dell’umore (iperico, griffonia), sia riducendo l’ansia (biancospino, luppolo). Ovvimanente bisogna ribadire che contrariamente a quanto generalmente ritenuto, l’origine botanica (identificata dalla popolazione come “naturale” tout court) di una sostanza non la esime da potenziali effetti collaterali. Ecco perché la scelta di un nutraceutico/integratore deve essere sempre valutata da un sanitario, che ne conosce proprietà, impieghi e potenziali interazioni e deve cadere su prodotti sicuri e di qualità.

*Biologa-nutrizionista

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