“Icon”. Il nuovo disco del rapper Tony effe tra successo commerciale e critica artistica
Il 15 marzo 2024 è uscito il nuovo disco del rapper romano Tony effe, esponente della dark polo gang, principale boy band della cosiddetta <rivoluzione trap> dell’anno 2016. L’album “Icon” è da due settimane in cima alla classifica Fimi (Federazione Industria Musicale Italiana); difatti questo è un risultato preventivabile vista la popolarità social del personaggio e la scelta dei featuring la quale, come spesso accade nel mondo <urban> che cannibalizza l’industria musicale da anni, risponde ad esigenze mercantali e non ad elevazioni artistiche; chi è il rapper che mi permette di performare di più sulla piattaforma Spotify? E’ possibile indovinare attraverso l’intelligenza artificiale i nomi scelti durante la gestazione del disco?
Le produzioni vedono la firma dei soliti nomi (il producer Drillionare assolutamenente egemone) e non presentano alcun guizzo artistico, sembra ormai una corporazione non dissimile da quella operante nella musica leggera italiana (ovvero il Festival di Sanremo), le cui produzioni sono affidate ai soliti 4-5 nomi. Non ci si aspettava certo Future o Young Thug ma molti dischi che riscutono successo nel panorama musicale italiano sono di una banalità imbarazzante! Il rapper Marracash sentenzierebbe attraverso la punchline “type beats type lyrics”: produzioni e liriche standard. I 45 minuti scorrono lentamente, certamente non si può considerare questo Tony effe un liricista alla Marracash e quello che rende pesante l’ascolto è il flow monocorde, a differenza di quello di Geolier con cui duetta in “Pillole“.
Nel pezzo “Particolari sporchi” – il classico episodio <conscius> di questi dischi usa e getta in cui l’autore cerca di aprirsi al pubblico mostrando i propri dissidi interiori – rappa le seguenti barre : “ho tutto ma ho perso tutto/non so più di chi mi fido/un braccio preso da un dito/tre anni presi da un chilo/il cielo è sempre più grigio/ vorrei tornare un bambino”. Sono questi esattamente i soliti cliche’ triti e ritriti che, lungi dal rappresentare una vocazione di interesse artistico oppure dal tradurre le aspirazioni e i desideri di una generazione, rappresentano una nuova algida sobrietà; è sempre e comunque lo stesso <storytelling>.
(Santo Orrico)