Mezzogiorno: rebus o carta vincente per il Governo? *

di Roberto BEVACQUA *

IN QUESTI anni i territori che hanno ricevuto maggiore impegno da parte dello Stato, oppure hanno avuto una maggiore capacità di spesa qualitativa – il sistema sanitario e della ricerca ne è la constatazione più evidente –  attraverso l’azione degli enti locali preposti al loro sviluppo strategico e che hanno investito sui fattori di conversione e  sulla capability dei territori stessi, hanno attuato uno step evolutivo che le ha poste in posizione di vantaggio rispetto ad altre aree concorrenti, in termini di capacità di attrazione di imprese, di maggior servizi offerti, mobilità, tecnologie smart, qualità della vita, servizi alla persona, ma anche rispetto ai loro territori intermedi e, soprattutto, rispetto alle aree marginali del loro hinterland. 

A livello nazionale si richiede, quindi, una visione strategica per lo sviluppo che riguardi il sistema Paese in generale e in una visione organica, la tutela e il rilancio strutturale dei territori, specie quelli colpevolmente trascurati, che miri alla competitività funzionale della Nazione. Si richiede, quindi,  una rinnovata presenza dello Stato e degli enti pubblici nei settori strategici dell’economia, per rendere meno dipendente il Paese dalla deregolamentazione sistematica operata dai grandi gruppi di interesse globali, i soli ad uscire da questa crisi in modo quasi indolore.

Holding che si configurano sempre più come indipendenti decisori delle sorti di sviluppo e di abbandono di aree e interi settori economici, sotto la spinta di interessi legati da prese di beneficio e differenziali di costo del lavoro, del trasporto e della dotazione di servizi connessi, principalmente ad alta intensità tecnologica. Trasformare una crisi in opportunità vuol dire anche ripensare ai sistemi di produzione, trasformazione, trasporto e scambio di beni e servizi come rete  di interconnessioni sistemiche, ripensare al complesso degli aiuti alle imprese orientandoli a quelle che realmente producono in loco, alla valorizzazione della piccola e media impresa, vera ossatura del sistema economico nazionale sia in termini di Pil che di lavoro generato, a riformulare principi e strategie che vedano lo Stato presente nei settori strategici per la nazione, senza che ciò debba voler dire optare per uno stato impresa.

Lo sviluppo e la  concentrazione di potere digitale e delle  informazioni ha permesso in questi ultimi anni il consolidamento di gruppi informatici che sfuggono alle regole dei Governi nazionali, detentori di informazioni che influenzano tutti i settori dell’economia e veicolano i gusti, le scelte  e i nostri consumi con algoritmi creati ad hoc. Queste sfide richiedono e richiederanno quindi ai territori, da una parte una maggiore mobilità e un maggiore sicurezza al suo interno, l’incremento continuo di servizi interconnessi, l’accessibilità dei luoghi, la formazione, informazione e analisi dei dati costanti, ma anche forti investimenti nella scuola, sia per ciò che riguarderà la formazione e l’uso dell’Intelligenza Artificiale, ma anche per interagire con l’enorme massa di disinformazione che corre sui social, per rendere le generazioni future in grado di difendersi da sistemi di condizionamento, occultamento e distorsione dei dati.

E in questa ottica che il Governo, e i prossimi governi, dovranno impostare le loro manovre economiche post Covid, realizzando quel cambio di mentalità e di programmazione che veda negli interessi della Nazione il principio ispiratore per le azioni e gli interventi da attuare, interessi della nazione che non possono non coincidere con la necessità di  far ripartire economicamente e infrastrutturalmente il Mezzogiorno, che rappresenta il primo mercato per l’export del centro nord. I dati dell’Osservatorio Economico del Ministero dello Sviluppo Economico, elaborati su dati Istat dalla Direzione Generale per le Politiche di Internazionalizzazione e la Promozione degli Scambi, relativi al 2019 – quindi pre covid – avevano indicato un 2019 che rispetto all’anno precedente aveva fatto registrare un avanzo commerciale importante, avanzo sostenuto dalle regione del Nord Est, dalla Toscana e dal Lazio mentre  il risultato peggiore lo realizzava la Calabria con una contrazione importante del suo export.

Il 2020 traccerà un solco per tutte le regioni italiane ma allo stesso tempo, nell’ipotesi che l’epidemia rimanga sotto controllo, la ripresa per il 2021 sarà via via più sostenuta e  favorirà quei comparti  produttivi e quelle regioni che tradizionalmente, per dimensione, per internazionalizzazione, strutturazione organizzativa, capitalizzazione e accesso al credito sono localizzate in aree centralizzate del Paese  a scapito di quelle che non beneficiano delle stesse caratteristiche e non hanno goduto in questi anni di pari risorse funzionali nei territori di appartenenza da parte dello Stato. E su queste basi che bisognerà intavolare col governo una seria discussione sul riallineamento dello sviluppo delle regioni del Sud, affrontando i nodi di una spesa storica inefficiente e incapiente verso il Mezzogiorno, ma anche tracciando, a livello regionale, un quadro programmatico strategico per il futuro degli asset, su cui dirottare investimenti e risorse dei fondi strutturali che guardino, per la prima volta, alla qualità della spesa, indirizzando gli sforzi verso un modello di sviluppo locale che tagli gli sprechi e i clientelismi, snellisca gli iter burocratici e  investa sulla formazione delle nuove generazioni, offrendo loro sicure prospettive di intrapresa sui territori, alimentando la fiducia e elevando la meritocrazia e la trasparenza,  altrimenti le promesse mancate desertificheranno l’economia meridionale, rendendo definitivo  l’abbandono dai territori della elite produttiva  e della parte più attiva e dinamica di coloro che li abitano.

*Direttore di Eurispes Regione Calabria

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