Come rendere funzionale allo sviluppo la territorialità comunale *

di Luigi Michele PERRI *

SI STA PARLANDO molto di fusione tra Comuni, ma, secondo il mio parere di osservatore, non emerge la motivazione cardine che, al di là di quelle contingenti, ne giustifichi la realizzazione. Una motivazione che dovrebbe mettere d’accordo tutti, ma che tarda a trovare uno spazio tra le baruffe chiozzotte animate da pittoreschi personaggi. Da tempo, in Calabria e nel Mezzogiorno d’Italia, è evidente la crisi del sistema della territorialità comunale, così come fu disegnato nei secoli passati. Mentre nel Centronord il modello comunale, storicamente legato alle autonomie locali, ha mantenuto una sua coerenza, nel Sud, invece, riflette l’eredità di dominazioni straniere e di governi monarchico-dinastici, che determinarono assetti territoriali più funzionali ai latifondi e agli interessi delle caste, piuttosto che a una gestione semplicemente razionale, più funzionale agli interessi delle Comunità e più aderente ad esigenze di integrazione.

In Calabria, gli attuali confini comunali discendono principalmente dall’egemonia di diverse dinastie, dalle dominazioni francese e borbonica e, successivamente, dagli errori amministrativi del periodo unitario, che, per lo più, evitò di intervenire sul fronte della revisione dei confini comunali, preferendo mantenere uno status quo, destinato a protrarsi, dopo la parentesi del Ventennio, anche nella fase repubblicana. Il quadro territoriale-amministrativo del Savuto, oltre a quello della Sila limitrofa, è emblematico. Esempi come Piano Lago, segmentato tra più Comuni, o Lorica, divisa tra San Giovanni in Fiore, Pedace e Serra Pedace, dimostrano i limiti enormi di queste suddivisioni, oggi del tutto anacronistiche. Piccoli borghi del Savuto, della Presila e della Sila, un tempo agglomerati rurali, si trovano a confrontarsi con processi di urbanizzazione, cambiamenti demografici ed esigenze socioeconomiche che richiedono un approccio organico e unitario, reclamando una nuova governance. Le antiche suddivisioni territoriali, che hanno resistito al tempo, non solo ostacolano la pianificazione dello sviluppo, ma creano disuguaglianze e disgregazione. Mi chiedo: come possiamo immaginare uno sviluppo omogeneo in situazioni così frammentate? Quale crescita è possibile senza superare gli individualismi, i campanilismi, i conflitti municipalistici e le separatezze? In un contesto disgregato, lo sviluppo non è solo difficile: diventa impossibile, se non interviene un cambio di sistema, attraverso la soluzione del Comune unico.

*Giornalista e scrittore


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