Ad un anno dall’inizio del dramma Covid *
di Luigi Michele PERRI *
AL FIATO d’una tromba, per “Silenzio fuori ordinanza”, la memoria del dramma pandemico, ad un anno dal suo inizio. Un fiato che si è fatto vento, dallo spiazzo del Municipio di Rogliano; vento di neve, che si è incuneato nella Valle, allungando l’eco di quelle note musicali tra i borghi collinari e gli agglomerati rurali pervasi dall’inverno. L’inverno di un’angoscia che sembra non finire. L’inverno degli animi, sotto la cappa plumbea che, visibile, oscura il cielo e che, invisibile, indifferente tra le stagioni, cela il sereno, anche quando il sereno c’è. È il maltempo che, oramai, da un anno, sovrasta le vite di ciascuno di noi, che deprime la vitalità comunitaria alla quale eravamo abituati, che imperversa sulla normalità bramata, declinata tra auspici e speranze, tra aspettative frustrate dalla temperie inclemente d’una storia che, improvvisamente, si è incattivita e che si è accanita contro un’umanità disarmata.
Già, una storia. La storia, se vogliamo. Storia di epidemie, di calamità (di terremoti e alluvioni), di guerre. Quella storia che, il più delle volte, senza saperlo, ciascuno di noi si porta dietro nel proprio sigillo genetico, che, di per sé, è la sintesi storica di intere generazioni. Quella storia ci insegna che ogni inverno, lungo per quanto sia stato, ha avuto la sua fine. “Addà passà ‘a nuttata”, ci ripete l’Eduardo delle commedie che amiamo tanto. E nottate di brutto tempo, che sembravano interminabili, sono passate perché dovevano passare; alla buon’ora, sono passate, consentendo a chi le aveva sofferte di riprendersi, di reagire, di ricominciare, di ricostruire.
Pensiamo alla Rogliano di 383 anni fa, esattamente in questi giorni di marzo. Il paese era stato ridotto in macerie dal terremoto. I nostri antenati erano disperati, impoveriti e terrorizzati. Eppure, riuscirono a ripartire, a ridisegnare e a riedificare, sul costone collinare, la Rogliano moderna nella quale viviamo. Riuscirono a rimboccarsi le maniche e a rifare case, palazzi, chiese. Guardate le nostre chiese. Furono, in massima parte, riedificate, pala e piccone, senza ruspe, né cemento armato. Pensate, una chiesa in ogni piazza. Quante sono? Contatele. Miracoli della Fede, sì. Di quella Fede che diede tenacia alle volontà e forza alle braccia, coraggio agli animi, alimento e spinta alla coesione comunitaria. E fu così che, dopo tante calamità, dopo le due guerre del Novecento, dopo la fame e le miserie che ne seguirono, ogni volta, il sereno poté tornare.
Quali ispirazioni possiamo trarne? L’afflato solidale d’un popolo, in ogni occasione, ha fomentato spirito di concordia e vigore collettivo, dandogli l’energia giusta per squarciare il grigiore delle avversità, per riconquistare la normalità, per ritornare a vivere. La rinascita c’è sempre stata, nella storia. E ci sarà, nella nostra storia. Non disperiamo. Al suono della tromba solitaria faremo seguire il suono festoso delle campane di tutte le nostre chiese. Animo, animo, animo, oh, perdiana! Animo, animo, animo, compaesani cari.
*Giornalista e scrittore