Fondi di resilienza e interesse nazionale: i rischi del “Black Hole” tra rivoluzione copernicana e nuovo rinascimento *
di Roberto BEVACQUA *
IL RECOVERY Fund è il più importante strumento del pacchetto Next Generation UE, dotato di risorse per circa 700 miliardi di euro, sia in forma di prestiti che di sovvenzioni, con lo scopo di sostenere finanziariamente le riforme e gli investimenti degli Stati membri. I danni generati dalla crisi pandemica, sia in termini di effetti sulla salute pubblica che sul tessuto economico, con il blocco delle esportazioni, la contrazione forte della domanda interna, le difficoltà di ristoro per il tessuto imprenditoriale per le piccole e medie imprese hanno spinto le varie Istituzioni internazionali e gli Stati a varare aiuti eccezionali per sostenere il tessuto sociale che ha visto aumentare il disagio sociale e allargare le aree marginalizzate, con una periferizzazione delle città e dei piccoli centri, ma anche ridare slancio al tessuto economico strozzato dalla caduta della domanda, dai lockdown forzati e da difficoltà di accesso al credito. Per quanto riguarda l’Europa, dopo un iniziale immobilismo e una confusione sulle strategie da impiegare per frenare la crisi sanitaria e economica nello spazio EU, ha messo in campo un poderoso piano di sostegno e di ripartenza per rendere le economie dell’UE più sostenibili e resilienti, affrontando le sfide poste dalle transizioni ecologica e tecnologica insieme a quella digitale.
Siamo in dirittura di arrivo per il processo di ratifica nazionale dei piani di resilienza e ripresa, terminato il quale la commissione Europea licenzierà il provvedimento attraverso il quale il Fondo Nex Generation EU potrà essere finanziato sui mercati internazionali.
L’Italia si è dotata di un piano armonico con approccio sistemico che lega e rispetta tutte le missioni individuate dall’Europa attraverso linee di intervento che dovranno ridare ossigeno al Sistema Paese, creando una solida base per la ripartenza e per affrontare il prossimo decennio caratterizzato da un nuovo sistema competitivo che influenzerà cittadini, imprese e istituzioni.
Le sfide all’interno del nostro Paese sono multiple poiché, accanto alle difficoltà strutturali storiche del sistema Italia, si sono aggiunte quelle dovute alla crisi pandemica e alle crisi internazionali che, a partire dal 2008, si sono ampliate a livello planetario, come la crisi dei subprime americani, gli attentati terroristici in Europa, la guerra dei dazi tra Usa e Cina, le frizioni geopolitiche nelle aree calde del medio oriente.
La pressione sui nostri dati aggregati macroeconomici non poteva che aggravare le debolezze competitive del sistema Paese, visto che la nostra economia da anni soffre delle rigidità operative delle manovre di bilancio imposte dall’austerity dell’ortodossia Europea, da sempre preoccupata dal volume di debito pubblico italiano, dei nodi strutturali irrisolti, dal disequilibrio areale figlio di un egoistico modello di sviluppo italico orientato verso le aree più ricche del nostro territorio e sostenuto da incapacità politiche di una parte della classe dirigente meridionalista poco attenta alle necessità dei territori che l’hanno espressa, spesso inadeguata a sostenere le economie locali e frenare la fuoriuscita di capitale umano che nei decenni ha impoverito la sua più grande risorsa. Lo stesso Mezzogiorno che, accanto a indici di qualità istituzionale minimi rispetto al resto del Paese, si è dimostrato inefficiente nella spesa quantitativa e qualitativa dei già incapienti fondi pubblici e di quelli strutturali europei, con una scarsa visione dei modelli di sviluppo locali basati sulle peculiarità dei territori e finanche miopi del ruolo geocentrico e relazionale nelle strategie dell’area del mediterraneo, tornata a essere un luogo di incontro e di scontro nello scacchiere geopolitico e geoeconomico planetario. Ma se le difficoltà e il ritardo socio – economico del Mezzogiorno continuano a rappresentare un vulnus nello sviluppo organico del Paese, in questa fase di transizione e di crisi è l’intero Territorio nazionale che sembra arrancare nei confronti del resto del mondo economicamente evoluto.
Le rigidità del Paese nel campo delle riforme, ad iniziare dalla riforma del fisco, della giustizia civile, della pubblica amministrazione, i ritardi nelle grandi progettualità di infrastrutturazione del territorio italiano, sia in termini materiali che in quelle digitali, hanno rappresentato e rappresentano un elemento di forte distorsione degli equilibri competitivi internazionali per la nostra economia. Tutto questo porta con sé anche una scarsa attrattività per gli investitori internazionali, un aumento degli indici di rischio e di costi per il finanziamento dello Stato sui mercati finanziari e soprattutto un impedimento allo sviluppo di strategie di supporto per gli interessi e la sicurezza della nazione. Elementi distorsivi da risanare, dunque, che contribuiscono a disegnare un quadro di fragilità politico – economico e strutturale del Paese, condannandolo a una lenta deriva reputazionale ed esponendolo ai rischi di acquisizione dei suoi asset economici e del suo know how, alimentando un circolo vizioso che deprime la crescita e gli indici di occupazione, frena la crescita di investimenti in tecnologia e ricerca e sviluppo, peggiora i conti pubblici, con la necessità di aumento della tassazione e l’instabilità politica. La globalizzazione ha imposto un coordinamento tra pubblico e privato, la difesa degli interessi dello Stato- comunità passa per la difesa degli spazi economici interni ed esterni, si impone una tutela degli asset strategici del Paese e un efficientazione di tutto il Sistema Italia.
Così, difficilmente si potranno realizzare simili obiettivi senza riformare l’organizzazione delle Istituzioni pubbliche in chiave efficientista, digitalizzando la macchina burocratica e il tessuto economico, rendendo competitiva la logistica integrata, innovando la ricerca e lo sviluppo dei settori chiave del Paese, coordinando le informazioni strategiche tra pubblico e privato, riequilibrando le distorsioni allocative degli investimenti dello Stato sul territorio, rendendo le infrastrutture veloci con alta velocità e alta capacità coerenti con la mobilità dell’intero flusso civile e commerciale su tutto il territorio nazionale, investendo nella qualità della ricerca, della formazione, dell’istruzione, dell’educazione, riqualificando i saperi e innalzando l’indice di qualità istituzionale. I fondi sono a disposizione per realizzare tutti i componenti funzionali utili al raggiungimento degli obiettivi economico-sociali circoscritti nella strategia del Governo, la volontà sembra ritornata a remare verso un rilancio del “saper fare italico” snocciolata nei progetti e nelle riforme contenuti nelle linee di intervento. Bisogna dunque uscire dalla crisi, ma dalle crisi si esce non solo con un piano finanziario che soddisfi e copra gli investimenti utili al Paese, ma presuppone che questi investimenti siano al servizio di un nuovo modo di agire in campo politico, economico e sociale anche del vecchio continente.
Questo nuovo paradigma è trascinato non dalla crisi pandemica che ha solo spinto le nazioni e le istituzioni internazionali verso un altro balzo verso il futuro, doloroso certo, devastante assolutamente sì, ma corollario di una crisi degli assetti economici e geopolitici in essere da un decennio. Le frontiere delle nuove tecnologie informatiche, il passaggio alla banda larga e al 5g, la digitalizzazione planetaria imposta dallo sviluppo dell’informatica ha accelerato in questi ultimi anni un processo irreversibile, ponendo all’orizzonte eccezionali opportunità per i sistemi nazionali più attrezzati ad affrontare e gestire questa nuova rivoluzione tecno-economica ma ha anche posto innumerevoli problemi per ciò che riguarda la tutela degli interessi e della sicurezza degli Stati, imponendo loro un ripensamento e un riammodernamento delle loro strategie economiche e competitive su larga scala, a difesa dei loro interessi nazionali e della difesa dei loro sistemi strategici. La transizione ecologica impone scelte che impatteranno sul futuro delle economie e delle società coinvolte, generando economie di scopo e di scala tecnologiche solo in quei paesi che sapranno rigenerare i loro asset produttivi con innovazioni di prodotto e di processo, ma sapranno anche difendere il loro now how sugli scenari di co-petizione, dove la cooperazione diventa trasversale alla competizione e gli interessi geopolitici ridiventano fluidi e magmatici, presupponendo classi dirigenti competenti e eticamente orientate agli interessi del Paese, con cittadini emancipati e consapevoli che condividano sempre più l’idea e l’agire dello Stato – comunità sempre più protagonista delle scelte di sviluppo globale.
Diventa necessario, quindi, evitare di perdere un’occasione irripetibile per recuperare il terreno perduto, non solo dalla punta di vista delle dotazioni infrastrutturali, materiali e digitali, ma nell’obbiettivo di riformare le istituzioni rendendo il Paese competitivo, organico e omogeneo territorialmente in termini di progresso e sviluppo. Accanto alle riforme però bisognerà spingere verso una riqualificazione della scuola e elevare la formazione orientando i saperi verso quella rivoluzione copernicana che ponga alla base del suo agire la premialità, l’efficienza e la meritocrazia, un salto culturale che avvii il Paese verso quella dimensione europeista ed efficientista ma conservando solide basi culturali che caratterizzano l’unicità del pensiero e del genio italico. Bisognerà diffondere una cultura dell’interesse nazionale, cemento di un’idea dello Stato che cura gli interessi dei suoi cittadini e del tessuto imprenditoriale all’interno di una cornice liberale ma che opera su scala planetaria nella competizione economica globale difendendo la sua sicurezza e la dimensione strategica delle sue risorse, distinte in una estensione di tutela della dimensione economico-finanziaria, Scientifica, industriale, ICT e non solo politica e militare.
*Direttore di Krysopea Institute