L’organo a canne del Duomo di Rogliano. Il perchè di una ricerca

Organi a canne, il perché di una ricerca

INTRAPRENDERE una ricerca è sempre qualcosa di avvincente sperando di poter, almeno per un attimo, destare la curiosità di chi legge e, semmai dare un piccolo contributo alla nostra microstoria. Non sono un tecnico, né tantomeno un esperto, ma da non addetto ai lavori (e da semplice appassionato) ho iniziato da tempo, per puro interesse personale e senza alcuna pretesa, una ricerca sul Duomo di Rogliano e su quello che ancora il tempo non ha consumato. Per cui ho fatto mia una citazione di Socrate che dice: ”Io non posso insegnare niente a nessuno, io posso solo farli pensare”. Non ho, per questo, la presunzione di insegnare niente ad alcuno, cerco solo di aprire una breccia in ognuno di noi per salvaguardare e custodire il nostro patrimonio storico ed artistico.

Solitamente, la prima cosa che facciamo quando entriamo per la prima volta in un edificio religioso è quello di rivolgere lo sguardo in alto. E’ istintivo, prima di fare una panoramica d’insieme per visualizzare tutto in un solo colpo d’occhio. Nonostante siano cinquant’anni che frequento questa chiesa, non ho rinunciato a questa abitudine. Guardarmi intorno. Tante cose mi sono ancora sconosciute ed il desiderio di sapere è troppo grande. C’è sempre qualcosa che mi cattura. Allora apro questo scrigno di storia, di bellezza e di arte quale è il Duomo di Rogliano, e inizio un cammino di ricerca per colmare tali vuoti. L’organo a canne della Chiesa Monumentale di San Pietro ha destato questa mia curiosità e, da subito, ho cominciato a darmi da fare per recuperare notizie della sua storia soffermandomi, soprattutto, nell’Archivio Diocesano di Cosenza (Fondo Rogliano) dove, in effetti, qualcosa ho trovato. Ma prima di iniziare vediamo in modo generale e sintetico l’origine di questo strumento

L’organo è nato come strumento profano, fu elaborato per la prima volta da un giovane inventore di Alessandria d’Egitto, Ctesibio, nel terzo secolo a.C. a cui diede il nome di Hydraulos, il cui funzionamento era ad acqua. Venne introdotto in occidente dai Romani, che lo utilizzavano per rallegrare feste, giochi e rappresentazioni sceniche. Ma fu un giovane sacerdote veneto, intorno all’800 d.C., un certo Giorgio da Venezia, che apportò alcune modifiche (allora la Chiesa lo considerava uno strumento non adatto alla liturgia) sostituendo l’acqua con l’aria. Questa scelta non fu del tutto casuale, ma era dovuta al fatto che l’ideatore voleva costruire un organo dedicato completamente a Dio. Nacque lo pneumatikòs (soffio del vento) perché era con il vento “che si manifestava lo Spirito Santo”.  Nel secondo secolo d.C. gli organi ad acqua vennero sostituiti definitivamente con quelli a mantice. Dal Medioevo in poi venne adottato e riconosciuto come strumento liturgico per eccellenza e fu una continua escalation, grazie alle incessanti innovazioni  e nuove tecniche costruttive. Tra la fine del 1400 ed il 1500, periodo in cui appare per la prima volta la pedaliera, si iniziarono a costruire organi più grandi che rispetto ai precedenti divennero fissi, (Portativi, piccoli organi con poche canne di modesto peso che venivano portati a tracolla, o Positivi, di peso superiore con un numero di canne più elevato che venivano appunto posati o spostati da più persone all’interno delle chiese dove erano necessari) e vista la  loro mole venivano collocati nel presbiterio, nell’abside o sopra il portale d’ingresso. Questi strumenti chiamati Maggiori, da allora fino ai nostri giorni, hanno conservato gli stili tradizionali e tecniche costruttive quasi  inalterate.  

Durante il XVIII° secolo fu tanta l’attenzione per questo strumento che i mastri organari non riuscivano a tenere il passo per le continue richieste provenienti in modo considerevole da parte degli ordini ecclesiastici, che lo adottarono a pieno titolo come strumento primario e unico della Chiesa Cattolica . La professionalità dei mastri organari e delle numerose botteghe che scaturirono in questo campo era considerevole. L’organo, strumento complesso e maestoso, richiedeva una preparazione non. L’apprendistato durava molti anni (d’altronde tale professionalità era legata ad una certa educazione artigianale che si guadagnava nel corso del tempo) e il mastro organaro imponeva rigide regole  allo scopo  di creare un prodotto qualitativamente  elevato in tutti i suoi aspetti tecnico-fonici. Dal punto di vista lavorativo, invece, erano necessarie figure qualificate come maestri d’ascia, architetti, falegnami, pittori, doratori, intagliatori a cui si univano altre di minor rilievo ma non per questo meno importanti. Come i ”vastasi”, gli” imbaligiatori”, i ”garzoni”.

L’organo della Chiesa di San Pietro in Rogliano

L’organo a canne di San Pietro, delicatamente inserito nel contesto architettonico della chiesa, è posizionato in alto sulla cantoria, in prossimità del portale d’ingresso. Esso rispecchia le esigenze dal punto di vista costruttivo e liturgico per il quale fu concepito.

In un inventario risalente al 15 settembre 1727 a firma del Decano Francesco Antonio Orsi, rettore della Chiesa Maggiore di Rogliano trovato nell’Archivio Diocesano,  si cita che il Duomo possedeva un antico organo di mirabile fattura che andò bruciato nel terremoto del 1638 insieme ad altri suppellettili di pregiato valore. Di quest’organo non si hanno notizie e le fonti orali in questo senso risultano carenti. Ora facciamo un salto nel tempo, dal 1638 al 1740, di ben 102 anni. Le prime notizie, per quanto mi riguarda, che accennano a un organo risalgono a questa data, che poi non sono altro che riferite all’organo in oggetto. Dunque, è da supporre (salvo altri ritrovamenti) che il Duomo, in quel determinato periodo storico, non era in possesso di alcun organo.

La  documentazione risulta infatti incompleta in molti passaggi e in alcuni casi di non chiara lettura; sicuramente altre informazioni mancano, in quanto ho constatato una certa disomogeneità nel legare alcuni eventi, per cui non vengono citati. Era consuetudine che i mastri organari lasciavano la loro firma nella parte interna del somiere, sulla parte frontale della tastiera, o in alcuni casi l’incisione su una canna, ma essendo l’indagine complessa  mi affido a documenti  che ritengo sufficientemente validi per risalirne (salvo nuovi ritrovamenti) al periodo della committenza, sua costruzione e al mastro organaro che lo ha realizzato.

La storia dello strumento inizia, come già citato, nel 1740. La necessità di avere  un organo, ormai parte integrante e indispensabile per la Liturgia,  indusse il Clero di San Pietro a esaminare l’ipotesi di un nuovo strumento. Sorgeva, però, il dubbio dove farlo costruire e, soprattutto, a chi dare questo incarico.  Napoli fu la scelta più ovvia, in quanto centro per antonomasia di letterati, studiosi,  artisti di fama e artigiani di indiscutibile valore per la loro estrosità. Dopo aver acquisito informazioni sui migliori mastri organari napoletani del tempo, fra i tanti l’interesse si soffermò su uno in particolare: Tommaso De Martino, primo organaro di Napoli (allora capitale del Regno delle Due Sicilie), dichiarato Maestro organaro della Regia Cappella e del Tesoro di San Gennaro, titolo ereditato di diritto dopo la morte dal padre, Giuseppe. Venne incaricato per l’occorrenza il sacerdote Don Bruno Morelli  su   richiesta del Procuratore di allora, Don Domenico Vaccaro, e  consenso del Clero del Duomo di San Pietro, di prendere contatti con il Maestro. Il Morelli, imbarcatosi da Diamante con due compagni di viaggio, Fra Luigi e Basilio, si  portò a Napoli dove  avvenne l’incontro con il De Martino, come attesta un documento datato 7 maggio 1740 .

Oltre a notizie di vario genere, lo stesso Don Bruno, discorrendo con  il De Martino, riporta che quando lo stesso si trovò a Cosenza per fabbricare l’organo di San Domenico (prima del 1740) fu a Rogliano e  vide tutte le nostre Chiese e, specialmente, si ricordava quella di San Pietro che era la più grande e la più bella  di tutte, per cui  concluse  che ci voleva un organo ben grande per sentirsi nell’assemblea.  Il colloquio andò a buon fine e dopo gli adempimenti di rito (contratto e clausole) si passò alla costruzione dell’opera, che come espresso nella missiva inviata dallo stesso De Martino al Clero di Rogliano del  10 dicembre 1740, e dopo opportuni accordi venne spedito in seguito destinazione Rogliano .

Lo strumento, racchiuso in  cinque casse di legno, arrivò via mare ad Amantea e venne trasportato a dorso di muli fin dentro il Duomo di Rogliano, con grande entusiasmo dei presenti, il 23 febbraio del 1741 dai mulattieri Giuseppe Serra e il di lui padre Francesco Antonio, del Casale delle Piane,una frazione di Figline Vegliaturo, per una somma di ducati 14 e grana 40 (penso orientativamente intorno ai 50/60 euro) come attesta la ricevuta di trasporto con le firme dei testimoni, alla presenza del notaio Agostino Gallo di Rogliano a sancirne l’avvenuta consegna. Per il montaggio dello strumento era alquanto improbabile che i mastri organari lasciavano il luogo di produzione e quindi la bottega, salvo casi particolari. Era norma, di solito, che gli stessi erano consociati con altri maestri del luogo. In tal caso per il montaggio del nostro organo compaiono due nomi: un certo  Cinnante e  Mastro Nicola Pantusa, dei quali non posso attestarne con certezza la loro presenza. E’ importante sottolineare che la cassa esterna dell’organo, in origine era tutta indorata così come si accenna  in una di queste note.

Di certo nel corso del tempo ha subito alcuni interventi di manutenzione, che in ogni caso si adattavano a criteri ed all’estetica del tempo e a nuove innovazioni. Il primo intervento di cui si ha notizia  fu ad opera del mastro organaro Nicola Roppi, ( originario di San Pietro in Amantea ),  come si evince dall’avvenuto contratto del 17 di giugno del 1825  tra il Reverendo Pietro Nicoletti, sacerdote Canonico, in qualità di Procuratore della Collegiata  di San Pietro, San Giorgio e appunto Niccolò e, Nicola Roppi, organista, con domicilio nella casa di Pasquale Altimari sita in Rogliano Rione Rota (segue la nota degli interventi: sostituzione di alcune canne in piombo e di legno).  Il tutto registrato in Rogliano l’8 ottobre dello stesso anno alla presenza di testimoni e del notaio Antonio Altimari. Dopo 75 anni (non si hanno più notizie circa il periodo precedente), nel 1900 fu commissionato l’ultimo restauro  a cura di  un componente della stessa famiglia Roppi, Raffaele, come attesta la dicitura impressa sulla parte frontale dello strumento. E’ accertato, comunque, che nella visita pastorale del gennaio del 1936 del Vescovo Roberto Nogara, l’organo anche se iniziava a dare segni di cedimento era in attività. Da allora iniziò il suo lento declino.

Tecnicamente riporto alcuni dati  e le caratteristiche dello strumento estrapolate da una relazione risalente al 1993 da un mastro organaro per una possibile proposta di restauro (che non venne eseguita) per l’ingente somma di circa 27 milioni di lire.

Alcuni dati tecnici dell’organo

L’organo si trova racchiuso in una cassa lignea non addossata alla parete, visti i canoni di costruzione è possibile pensare che la sua edificazione sia avvenuta tra la fine del ‘700 ed i primi dell’800 ed è racchiuso in una cassa lignea in noce decorata con fregi ornamentali intagliati e dorati . Purtroppo altre eventuali decorazioni  che in origine potevano esistere sono state coperte da ridipinture dovute ai restauri precedenti tanto da coprirne la sua originalità. La facciata  è scompartita in tre campate tipica della scuola napoletana del ‘700  ed è composta da trentuno canne in lega di stagno e piombo disposte a cuspide delle quali la centrale ne contiene nove e le due laterali undici ciascuna.

L’organo è ti tipo meccanico ciò vuol dire che tutti i meccanismi sono mossi da leve, tiranti, bilancieri, squadre e molle L’organo, formato da una tastiera di cinquanta tasti dal Mi al Do ed una pedaliera di nove tasti dal Mi al Do collegate al somiere del pedale. Il somiere maestro è di ottima fattura. I mantici sono del tipo a spighe, sei ciascun, attivati da stanghe di legno che fanno leva sui cavalletti. Le canne interne sono in piombo e le canne basse sono in legno di abete. Il numero complessivo delle canne ammontano a 450. I registri sono dieci del tipo a stecca comandati da altrettanti tiranti situati a destra della tastiera.

Concludo con una riflessione. I vecchi manufatti suppellettili ed altro ancora, fanno parte della nostra memoria storica, non appartengono solo al singolo individuo, ma all’intera comunità civile e religiosa. A noi singolarmente spetta il compito di preservarli nel tempo per rendere con ossequioso silenzio onore e rispetto a tutti gli artisti che hanno saputo testimoniare la loro fede con le loro mirabili opere.

(Antonio Stumpo)

Fonte: Parola di Vita

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