Nel Mediterraneo si continua a morire *
di Gaspare STUMPO *
NON FANNO più notizia, rimangono nell’indifferenza, addirittura non suscitano sentimenti di dolore da cui trarre riflessioni adeguate capaci, quantomeno, di alimentare un dibattito consono al livello di civiltà raggiunto da una società che si considera avanzata. Le continue, drammatiche, strazianti storie di morte nelle acque del Mediterraneo non scalfiscono l’ambiguità di posizioni tuttavia contrastanti di quanti, da sempre, hanno in mano il potere di decidere sulla gestione dei fenomeni legati ai flussi immigratori. Eppure non ci sono aggettivi per definire le migliaia di storie dal finale tragico, per non dire spaventoso, che hanno interessato (e continuano ad interessare) uomini e donne ma soprattutto giovani e bambini la cui sfortuna è stata quella di nascere e crescere in un contesto ostile per via di condizioni meteo-climatiche avverse o, peggio ancora, di guerre e persecuzioni infinite. E’ impressionante quanto stia accadendo ancora una volta a largo di Lampedusa e nel Mediterraneo in questo primo scorcio d’estate seguito alla nuova emergenza pandemica. Un nuovo naufragio, l’ennesimo di una lunga serie, una incredibile scia di morte per uno scenario a dir poco inumano in rapporto al progresso civile e tecnologico raggiunto in Europa. “Una tragedia che si poteva evitare – affermano dalla Sea Watch – è diventata realtà”. E’ piuttosto critico, infatti, il giudizio della ong tedesca, così come critico è quello di buona parte dei movimenti e delle organizzazioni umanitarie rispetto alle politiche europee di gestione delle migrazioni. In diversi, tra cui proprio Sea Watch – hanno chiesto, di recente, l’abolizione dell’Agenzia per il controllo dei confini, Frontex, e l’apertura delle frontiere il cui sistema, a giudizio dei firmatari della richiesta, ha costretto “le persone migranti a intraprendere rotte pericolose e insicure, arruolando Paesi per bloccarne il viaggio, respingendo, non salvando e lasciando morire in mare”. E severo appare anche il giudizio della Fondazione Migrantes nel Report 2020 relativo al Diritto d’Asilo. “I rappresentanti politici delle nostre istituzioni politiche europee e nazionali continuano a dichiarare di avere tra gli obiettivi principali il rispetto dei diritti umani e delle convenzioni internazionali, così come di voler contrastare lo sfruttamento delle persone in fuga da parte dei trafficanti di esseri umani e quello di diminuire il numero delle persone che muoiono in mare, nel deserto o ai confini terrestri nel tentativo di raggiungere l’Europa. Ma – si legge tra le pagine del documento – andando a vedere quali alternative stiamo concretamente offrendo alle persone che scappano da situazioni di conflitto, guerre e povertà per arrivare in maniera legale in Europa o nel nostro paese, non possiamo che concludere che al momento continua ad essere quasi impossibile, per chi cerca protezione, ottenere un visto per arrivare in sicurezza”.
Ma cosa pensano i politici di questo che rappresenta un problema ormai atavico la cui soluzione appare lontana non foss’altro per la divergenze di idee e di azioni ad oggi intraprese. Il premier Mario Draghi, per esempio, nel discorso alle Camere che ha preceduto il Consiglio Europeo ha spiegato che “il Governo vuole gestire l’immigrazione in modo equilibrato, efficace e umano” ma che la gestione “non può essere solo italiana”. “Occorre – ha aggiunto – un impegno comune che serva a contenere i flussi di immigrazione illegali, a organizzare l’immigrazione legale e aiutare questi Paesi a stabilizzarsi e a ritrovare la pace”. Draghi ha parlato di programmi per il controllo della frontiera esterna dell’Unione e dei cosiddetti ricollocamenti ma anche di necessità di superare il Regolamento di Dublino “una convenzione – ha detto – concepita in una diversa fase storica, adatta a gestire numeri contenuti”. Per il presidente del Consiglio “al momento però una solidarietà obbligatoria verso i Paesi di primo arrivo, attraverso la presa in carico dei salvati in mare rimane divisiva per i 27 Stati membri. Serve – ha poi ribadito – un’alternativa di lungo periodo per fare in modo che nessun Paese sia lasciato solo”. Dall’inizio dell’anno ai primi di luglio, ricordiamo, nonostante le difficoltà del periodo e quelle legate alla diffusione del virus il numero dei migranti sbarcati nelle terre dell’estremo lembo della Penisola sono quasi ventunomila a fronte dei seimila registrati nello stesso periodo dell’anno precedente. Il punto di partenza è rappresentato soprattutto dalla Libia, e nella massa degli sbarcati un numero considerevole di migranti è rappresentato dai tunisini. Lo stesso Draghi ne ha parlato con il primo ministro libico Dbeibeh e con il presidente della Repubblica di Tunisia, Saïed. “Intendiamo intensificare in tempi rapidi partenariati e forme di collaborazione con i Paesi di origine di transito, in particolare con i Paesi africani. Lo scopo – ha ricordato infatti Draghi – è quello di evitare perdite di vite umane ma anche di contrastare le partenze illegali nonché di ridurre la pressione sui confini europei”.
Tuttavia, nonostante il tentativo di ripresa e la convergenza su alcuni aspetti, il dialogo all’interno della UE è rimasto sostanzialmente in una fase di stallo e il cammino che dovrebbe portare alla definizione del Patto sull’Immigrazione e l’Asilo proposto il 23 settembre 2020 dalla Commissione Europea, appare ancor piuttosto lungo e complicato. Secondo alcuni potrebbe essere proprio Mario Draghi, che a distanza di alcuni anni è riuscito a fare inserire il tema dell’immigrazione nell’agenda del Consiglio Europeo, il personaggio determinante ai fini di una intesa tra partner sulla distribuzione dei migranti. L’auspicio è quello di un cambio di rotta sulla base di una presa di coscienza di un fenomeno che appare ormai catastrofico rispetto al quale la Comunità internazionale continua a rimanere impotente. Occorre far presto, dunque, fermare l’indifferenza, i contrasti e l’immobilismo della politica, sostenendo l’azione degli uomini dello Stato e quella delle Ong, respingendo (e colpendo) le strategie criminali delle organizzazioni dei trafficanti, promuovendo politiche di aiuto verso gli Stati più poveri, accogliendo chi fugge da condizioni di vita inaccettabili e spera in un futuro migliore. Accogliere è un dovere morale e culturale. Non solo accogliere ma anche proteggere, promuovere, integrare. L’immigrazione di massa verso l’Europa è un fenomeno inarrestabile e ineluttabile con enormi perdite umane. E’ giunto il momento di guardare all’immigrato come a una risorsa e non come un problema, rendendolo parte integrale e attiva del sistema sociale ed economico del Paese, un po’ come è accaduto negli Usa. In fondo – parafrasando Lyndon Baines Johnson – “una terra fiorisce perché è stata alimentata da tante fonti. Perché è stata nutrita da così tante culture e tradizioni e popoli”.
*Direttore responsabile (gasparemichelestumpo@pecgiornalisti.it)
Fonte: Calabria che Accoglie 2.0 (Luglio 2021)