450 anni fa la Battaglia di Lepanto. Nelle avanguardie il roglianese Marcello Manuardi *
di Luigi Michele PERRI *
L’EUROPA occidentale, a cominciare da quella mediterranea, fu sul punto d’essere islamizzata. Qualora, nel 1571 (domenica, 7 ottobre), esattamente 450 anni fa, gli Ottomani avessero battuto la Lega Cristiana nella battaglia navale di Lepanto, il processo espansionistico turco avrebbe subìto un’accelerazione senza ostacoli sino ad involgere da sud il resto del continente entro tempi strategici più funzionali ai suoi obiettivi. Le contingenti ragioni geopolitiche (egemonia nel Mediterraneo attraverso la conquista dell’isola di Cipro) alla base del conflitto diedero la spinta decisiva all’avvio di una vera e propria Crociata per effetto dell’intervento del papa, Pio V°. Fu proprio questo spirito di scontro di civiltà, alimentato dal pontefice di Roma, a creare, in Italia e, soprattutto, nella sua area meridionale, un clima di fervente mobilitazione che investì in pieno i potentati locali, subito attivi e pronti a dar manforte alla alleanza. Il reclutamento delle forze calabresi fu fissato per tempo a Reggio e a Tropea. Determinanti compiti di avanscoperta furono affidati proprio ad un calabrese, Cecco Pisani di Belvedere. Le sue ricognizioni valsero ad informare i comandi supremi della Lega sulla consistenza e sui movimenti delle navi nemiche. Pisani, che combatté sulla ammiraglia di Francantonio Colonna, poi viceré di Sicilia, guadagnò abbondanti benemerenze sia per la sua attività di esplorazione preparatoria della spedizione, sia per il suo coraggio in battaglia. Tre galee furono armate da Gaspare Toraldo, appartenente a casato partenopeo-tropeano, barone di Badolato, che, per conto della Repubblica di Venezia, arruolò oltre mille volontari, tra i quali Francesco Portogallo, Cesare Galluppi (capitano dei corazzieri di Filippo II), Giovan Tommaso di Francia, il capitano Stefano Soriano, esponenti dei Fazzari, dei Barone, dei Carrozza. Due galee reggine furono allestite da Giovan Paolo Francoperta, aristocratico di Pentedattilo, e dai nobili Parisio, Gaspare e Matteo. A bordo, componenti dei casati de Cicco, Galimi, Bosurgi e Geria. Come riferiscono G. Valente, U. Nisticò, M. F. De Pasquale, si diressero verso la baia di Lepanto altre galee e imbarcazioni con: Vincenzo Passacalò da Seminara; Millo da Melicuccà; Nicola Maria Carnevale da Stilo; Ferrante Falletti, Bernardino Coco, Giovan Giacomo Comperatore, il conte Vincenzo Marullo da Condojanni, feudatario di Bovalino. Una galea fu armata a Caulonia. Si arruolò anche Giovan Ferrante Bisballe, conte di Briatico, che poi morì in battaglia. Da Francica partì Camillo Comercio, fratello del medico personale del re di Spagna. Tra gli altri catanzaresi, Francesco De Riso. Un gruppo di volontari, partiti da Amantea, s’imbarcarono a Napoli. Tra questi, Scipione Cavallo e Matteo Ventura. Ancora dalla provincia di Cosenza si mossero i principi di Bisignano e quelli di Scalea. Sempre dal Cosentino, raggiunsero le armate navali sulla costa greca: l’alfiere di fanteria, Flaminio Merenda; il capitano, don Marcello Manuardi, nobile di Rogliano; ed ancora, il cosentino Prospero Parisio e il coriglianese Giovan Berardino Grandopoli. A Lepanto combatterono, secondo gli storici, circa quattromila calabresi, una cifra che diede il senso della capacità di mobilitazione dei potentati locali, ma anche quello della spinta volontaristica di partecipazione alla coalizione cattolica. Che, alla fine, riuscì a respingere la minaccia islamica. E che, oggi, rappresenta l’argomento forte a sostegno della legittima istanza, già avanzata da Alcide De Gasperi, dell’irrinunciabile richiamo delle radici cristiane del continente nella Costituzione europea.
*Giornalista e scrittore