Lo spopolamento dei Comuni italiani: criticità ed opportunità di sviluppo *

di Ugo BIANCO *

QUESTO lavoro rappresenta un focus sulle problematiche e gli strumenti necessari per affrontare il calo demografico. Particolare rilevanza sarà riservata ai piccoli centri urbani, che per un totale di 5.500 rappresentano il 69% dei Comuni dell’intera penisola. In essi si contano 10.068.213 di residenti per un valore del 17% dell’intera popolazione nazionale. Dalla seconda metà del 900 ai nostri giorni tutti gli indicatori demografici identificano una cospicua riduzione della popolazione. Al 1° gennaio 2021 i residenti erano 59.236.213, riducendosi di oltre 400.000 unità rispetto all’anno di inizio della pandemia da Covid-19. Nel corso del 2021 il saldo naturale (differenza tra nascite e decessi) ha raggiunto – 335.416. Il deficit delle nascite rispetto ai decessi è dovuto alla popolazione di cittadinanza italiana (–386.000), mentre per la popolazione straniera cresce in modo sostenuto (+50.584). Le aree interne sono caratterizzate da una significativa distanza dai principali centri di offerta di servizi (Salute, Scuola, Mobilità), ma anche da una disponibilità elevata di importanti risorse ambientali (idriche, sistemi agricoli, foreste, paesaggi naturali e umani) e risorse culturali (beni archeologici, insediamenti storici, abbazie, piccoli musei, centri di mestiere). A causa del calo demografico la ricchezza di questi luoghi si sposta verso i grossi centri, acuendo la loro fragilità e l’incapacità di svilupparsi in autonomia. Ne consegue uno squilibrio socio-economici che destabilizza l’intero territorio nazionale. Da una parte, la sfera sociale subisce una perdita della memoria storica, della socialità e delle tradizioni culturali tipiche. Viene meno la possibilità tra le varie generazione di relazionarsi con l’intento di custodire il patrimonio dei saperi e dei valori. Dall’altra parte, la sfera economica, fragile e precaria, prevalentemente agricola e artigianale con la sua esperienza millenaria, tramandata da padre a figlio, viene spogliata del suo vigore e della potenzialità di creare nuove opportunità commerciali.

Sono numerose le aziende che chiudono o vengono vendute a causa del mancato avvicendamento tra generazioni. Gli anziani vivono in un contesto dove la socialità è molto affievolita. Sono rari i momenti di aggregazione. La totale assenza di centri sociali e circoli sportivi è un deficit strutturale che favorisce l’isolamento. I giovani con il loro ricco bagaglio culturale, invece di sviluppare idee innovative, ispirate alle opportunità locali, emigrano alla scoperta di un lavoro più proficuo per migliore la condizione di vita. L’esodo della nuove generazioni rappresenta una vera emergenza nazionale da mitigare per ridurne gli effetti. Sulla gazzetta ufficiale n. 220 del 14 settembre 2021 è stato pubblicato il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 23 luglio 2021 che stabilisce come 5518 piccoli Comuni, con popolazione sotto i 5 mila abitanti, possono beneficiare delle risorse stanziate dalla Legge “Realacci” allo scopo di riqualificare i centri storici dei piccoli borghi (L. 6 ottobre 2017 n. 158). Questa norma favorisce gli interventi a tutela dei residenti nei piccoli centri e delle attività da loro svolte con l’obiettivo di contrastare lo spopolamento e favorire il turismo attraverso i seguenti interventi: manutenzione del territorio con la riqualificazione degli immobili esistenti e delle aree dismesse, riduzione del rischio idrogeologico, la messa in sicurezza delle infrastrutture stradali e l’incentivazione dell’efficienza energetica. I piccoli Comuni potranno recuperare i centri storici creando alberghi o tramite l’acquisizione di vecchie stazioni ferroviarie o case cantoniere, realizzare unità di protezione civile o siti per la promozione di prodotti tipici. La norma appena citata denota una certa sensibilità verso lo spopolamento. Ma credo che solo con gli strumenti normativi non si riesce a creare uno shock all’economia.

A mio parere è necessario attivare la leva dello sviluppo e della coesione attraverso al responsabilità e la consapevolezza della classe politica. A sostenere questa nuova coscienza un grosso contributo può venire dai programmi d’investimento mondiali ed europei, a disposizione dei governi. In primo luogo citiamo le strategie stabilite dall’Agenda globale per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite (Agenda ONU 2030) che nel 2015 ben 193 paesi del mondo, compresa l’Italia, hanno condiviso in 17 obiettivi (Sustainable Development Goals o SDGs) e 169 target e raggiungibili entro il 2030. Con questo documento è stato stabilito che il sistema di sviluppo attuale è “insostenibile”, non solo a livello ambientale, ma anche sul piano economico e sociale. L’idea condivisa consiste nel credere che non ha più senso pensare alla sostenibilità basata sulla sola soluzione di “questioni ecologiche”, ma lo sviluppo si deve fondare su soluzioni di crescita “integrate” a livello economico, sociale ed ambientale. Lo sviluppo sostenibile non si limita solo agli aspetti ecologici. Esso comprende anche una dimensione sociale e una dimensione economica. Questa nuova cultura di progresso si basa sulla promozione di una crescita equa e condivisa, la protezione dei diritti umani e la salvaguardia delle risorse naturali.

Non meno importanti sono i fondi strutturali e di investimento UE che operano per sostenere la coesione economica, sociale e territoriale. Essi costituiscono un pilastro su cui poggia la fiducia di ogni stato membro che sottoscrivendo accordi di partenariato con la Commissione europea, consentono di attuare programmi di sviluppo a livello locale. Per ultimo, e non per questo meno importante, citiamo il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) composto da un pacchetto di riforme e di investimenti finanziati dell’UE per la ripresa economico-sociale post pandemia da Covid-19. I fondi a disposizione ammontano a 191,5 miliardi di euro, da impegnare fino al 2026. Per utilizzare le risorse distribuite, gli stati devono predisporre un programma di riforme e di investimenti. L’erogazione delle risorse avviene due volte all’anno sulla base dell’effettiva realizzazione degli interventi predeterminati alle scadenze stabilite. In conclusione possiamo sperare che le aree interne, per lunghi anni marginalizzate e degradate, alla luce di quanto ribadito finora, possano diventare un modello di sviluppo inclusivo, sostenibile e resiliente. Capace di rendere la popolazione meno vulnerabile e rilanciare l’economia dei propri territori. Solo così si può tendere verso un riequilibrio socio-economico dell’intero territorio nazionale con la conseguente ripresa economica.

* Presidente Associazione Nazionale Sociologi – Dipartimento Calabria

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