Film iconici sulla Passione di Cristo *
di Marco GABRIELI *
IN OCCASIONE della Pasqua vogliamo suggerire la visione di alcuni tra i film più iconici che mostrano le ultime ore di vita del personaggio “Gesù”, diventato una vera e proprio icona all’interno del panorama cinematografico.
Ben-Hur (1959)
Diretto da William Wyler con protagonista Charlton Heston nel ruolo del principe e mercante giudeo Ben-Hur, il film è ambientato nella Gerusalemme del I secolo d.C. ai tempi delle ribellioni giudaiche contro i romani. Ben-Hur si rifiuta di tradire il suo popolo in nome dell’invasore e deve fronteggiare il comandante Messala Severus, giunto in Medio Oriente per sedare tali rivolte. In questa pellicola Gesù non ha un ruolo centrale, ma si può definire una “comparsa di lusso” in uno dei kolossal più importante della Hollywood degli anni cinquanta. Il Signore compare davanti a Ben-Hur quando questi è collassato per la fatica, offrendogli dell’acqua e dandogli la forza per tirarsi su. Svolge quindi una funzione di deus ex machina, anticipando l’idea della Resurrezione. Sebbene non sia una figura principale, Cristo sembra muovere alcune sequenze narrative (il fermento del popolo giudaico, la crudele Via Crucis, la tempesta miracolosa dopo la crocifissione). L’azione redentrice di Gesù morto in croce funge un po’ da sotto trama. Il suo sangue divino, infatti, misto alla pioggia guarisce la madre e la sorella di Ben-Hur. L’intreccio tra elementi della tragedia classica e moderna e la scoperta del perdono e della misericordia svelano la funzione cristologica del film.
Il re dei re (1961)
Ispirato ai vangeli e diretto da Nicholas Ray, il film è ambientato nel 63 a.C. quando Gneo Pompeo Magno conquista e saccheggia Gerusalemme. In mezzo alle guerriglie romane viene ricostruita, in maniera romanzata, la vita di Joshua (interpretato da Jeffrey Hunter) con tanto di tratti poetici non privi di una certa spettacolarità. Particolarmente commuoventi sono le predicazioni e, in particolare, la scena delle “beatitudini” dette anche “Discorso della Montagna”. Viene ridotta la parte relativa ai miracoli, probabilmente perché il regista, essendo protestante non cattolico, non voleva darvi ampio spazio. La Passione, la Morte e la Resurrezione vengono meravigliosamente inscenate sul grande schermo, conferendo a tutta la trama la giusta dose di drammaticità e infondendo tensione e modernità alla vicenda di Gesù. Nella realizzazione del prodotto non sono mancate varie libertà narrative rispetto ai vangeli, come l’accentuazione del sottotesto politico e la rilevanza data al personaggio di Barabba.
La più grande storia mai raccontata (1965)
Una delle pellicole più famose e tradizionali su Gesù di Nazareth, godibile, ben realizzata e curata sul piano scenico con inquadrature ad effetto che creano immagini da cartolina. Diretta dall’americano George Stevens, racconta la vita di Cristo come viene narrata dai quattro vangeli partendo dai magi e terminando con l’annuncio della Resurrezione agli apostoli, passando per il battesimo di Giovanni, per le predicazioni, per l’ultima cena e per la crocifissione. L’attore svedese Max von Sydow, volto simbolo del cinema drammatico di Ingmar Bergman, fu ingaggiato per interpretare la parte di Gesù insieme ad un cast stellare (fra gli altri Charlton Heston e Angela Lansbury). La narrazione è molto convenzionale e ha un’impostazione sostanzialmente agiografica, non esente da prolissità e lungaggini. Nonostante i pochi slanci emotivi, il film sottolinea la voce del Cristo, ponendola in risalto su tutto e tutti. La trama ha uno sviluppo lento che lascia spazio a momenti di riflessione dopo ogni scena. La sua visione è consigliata perché induce a ripensare la propria fede all’interno della frenetica vita quotidiana.
Jesus Christ Superstar (1973)
Il film del regista canadese Norman Frederick Jewison porta sul grande schermo l’omonimo musical di Tim Rice (autore dei testi) e di Andrew Lloyd Webber (autore della musica). Questa pellicola ha dato una svolta decisiva alla rappresentazione di Gesù nell’immaginario collettivo. Il rispetto reverenziale che, senza alcun dubbio, è evidente in prodotti cinematografici più tradizionali, viene rimpiazzato da una rielaborazione del vangelo sia sul piano contenutistico che su quello formale. Si tratta di un’opera rock vibrante ed energica, caratterizzata da brani trascinanti. In chiave essenzialmente musicale viene raccontata l’ultima settimana di vita di Gesù prima della crocifissione, con una particolare predilezione per il rapporto conflittuale tra il Messia (interpretato dall’attore americano Ted Neeley) e il suo discepolo Giuda (Carl Anderson). Il re dei giudei è simile ad una rockstar ormai in declino e abbandonata dai suoi seguaci. Intorno a lui ci sono, tra gli altri, Maria Maddalena, attraente e ambigua, e Giuda il traditore che si presenta come una vittima. Il Figlio di Dio assume le fattezze di un uomo moderno in linea con le rivoluzioni degli anni settanta.
Gesù di Nazareth (1977)
Con questo sceneggiato televisivo in cinque puntate, diretto da Franco Zeffirelli, si ritorna alla figura di un Gesù più tradizionale e in linea con i canoni rappresentativi classici. Il grande regista italiano ricostruisce l’esistenza di Cristo dal concepimento fino alla Resurrezione, creando un prodotto dal forte impatto scenografico e visivo che punta dritto al cuore. Questa produzione ha avuto un’ampia diffusione e ha segnato diverse generazioni di spettatori, nonostante le critiche negative dovute alla scelta di uno stile oleografico e alla ridotta conformità alle Sacre Scritture. L’opera, tuttavia, ottenne l’approvazione della Santa Sede che la considerò un’occasione di divulgazione della vita di Gesù, alla luce delle linee tracciate dal Concilio Vaticano II. Quest’ultimo aveva stabilito che, a livello dottrinale, la parola di Dio dovesse essere storicizzata, adattando i testi sacri ai tempi moderni. Zeffirelli volle mettere su un’operazione colossale che desse adito ad un racconto storicamente e teologicamente dettagliato, per cui si avvalse sul set della consulenza di esperti teologi cristiani ed ebrei. Descrive un Gesù che è uomo del suo tempo, un ebreo nato in una terra occupata e dilaniata dai conflitti. L’attore britannico Robert Powell fu ingaggiato per interpretare il ruolo del maestro, venendo così consacrato al grande pubblico mondiale. La scelta cadde su di lui per via dei bellissimi occhi azzurri e per lo sguardo penetrante capace di catturare lo spettatore. La sua immagine creata ad hoc sul set divenne così devozionale da indurre tutti ad associarla alla figura iconografica di Cristo.
La Passione di Cristo (2004)
Girato dall’attore e regista statunitense Mel Gibson, quest’ennesima rivisitazione cinematografica delle ultime ore di vita terrena di Gesù suscitò polemiche all’epoca della sua uscita in sala, a causa del brutale realismo delle scene e per la presenza di dettagli macabri, a testimonianza di come l’interpretazione delle Sacre Scritture in campo artistico possa provocare reazioni disparate. Jim Caviziel, l’attore cattolico americano scelto per il ruolo di Gesù, è riuscito a calarsi bene nella parte ricevendo assistenza, durante le riprese, da un sacerdote e recitando addirittura il rosario per trarre ispirazione. Il plot si concentra sulla crocifissione e morte di Gesù, seguendo il racconto dei vangeli e creando una sorta di sintesi fra di essi. Quest’opera inedita e controversa registrò un grande successo al botteghino, diventando un fenomeno visivo di vaste proporzioni. La scelta di Mel Gibson di girare il film in latino, ebraico e aramaico si è rivelata una strategia vincente perché, grazie anche a questi idiomi, è stato possibile ricreare efficacemente l’ambientazione antica in cui si sono dipanate le vicende del Signore. Il regista ha voluto presentare la figura di un Messia che è in mezzo a noi, respira come noi e ha fattezze umane, ma che è anche in grado di comunicare con il Padre e di elevarsi al di sopra della malvagità con signorilità e regalità. Il crescendo di torture assume la forma di una religiosità violenta, senza mezze misure e dogmatica, in cui il sacrificio viene drammatizzato al massimo livello espressivo come via per lavare i peccati. Questo film tocca l’emotività universale nel profondo con il dolore non solo di Gesù ma anche della madre. Secondo molti critici il film è reazionario, antisemita e/o antiromano, rigido al punto giusto e capace di sconquassare le nostre certezze. Nessun’altra pellicola ad oggi ha saputo eguagliare un tale risultato.
Buona visione e Buona Pasqua!
* giornalista
Fonte: Parola di Vita