“Comune unico del Savuto, no a fermezza di posizioni, si al confronto” *

di Luigi Michele PERRI*

Per l’avanzamento culturale di questa nostra zona, presupposto irrinunciabile di qualsivoglia progetto di sviluppo, sarebbe necessario (e consigliabile) elevare i toni di un confronto serio e portarli sugli argomenti più aderenti alla portata strategica della prospettiva del Comune unico del Savuto. Spiace rilevare “fermezza di posizioni”, ossia atteggiamenti di evidente “pregiudizio sfavorevole”, tutti da evitare non foss’altro per richiami di semplice buonsenso. Mi permetto di scomodare intellettuali di sicuro affidamento (e me ne scuso), come: il politologo tedesco Habermas, che, più generalmente, sottolinea l’importanza di un dialogo senza coercizioni e pregiudizi per il funzionamento della democrazia; ancora più esplicita il Premio Nobel, Amartya Sen, che in “Development as Freedom”, spiega come il dibattito democratico sia cruciale per lo sviluppo e come pregiudizi o esclusioni ingiustificate possano ostacolare la partecipazione e portare a decisioni sbagliate o non inclusive; il filosofo politico austriaco, il seguitissimo Popper, che critica gli atteggiamenti dogmatici e i pregiudizi che soffocano il dibattito razionale e sostiene che il progresso avviene solo in una società aperta, dove le idee possono essere discusse liberamente senza ostacoli preconcetti. Si tratta di moniti incontestabili, che chi fa vita pubblica dovrebbe tenere ben presenti, come ispirazioni della propria azione, come vincoli edificanti da autoassegnare ai propri ruoli.

Il Comitato, dal canto suo, ha dato segnali di massima apertura a dibattiti e confronti seri e costruttivi, che mi auguro ci possano essere e ai quali le ragioni del “Sì” non si negano. Del resto, prima o dopo il  confronto diretto o più confronti diretti ci saranno davanti alle popolazioni, in occasione del referendum che verrà (a quanto pare, ben presto). E anzi, se vogliamo iniziare a fare un bel calendario, lo possiamo fare fin da subito. Accampare i due secoli di storia per sostenere l’inamovibilità di situazioni consolidate significa trascurare il fatto che i nostri Comuni furono ordinati dalla legislazione napoleonica degli inizi dell’Ottocento, poi da quella borbonica dopo la Restaurazione del 1815  (Congresso di Vienna), poi da quella fascista, ossia da epoche ottocentesche in poi, quando gli equilibri di potere erano appannaggio dei latifondisti e degli agrari usurpatori (ladri di demanio pubblico) o da una regime dittatoriale, antidemocratico, pur attento alle esigenze dei territori (fine anni Venti del Novecento). Lo spopolamento è un fatto, purtroppo generale, ma qui, da noi, non è solo dato dal pauroso calo delle nascite, rispetto al quale vale la legislazione nazionale, bensì anche dalle residenze che, a parte la campionatura mangonese e santostefanese, sono legate alla mancanza di provvedimenti amministrativi organici tali da rendere appetibile il territorio. E questo senza calcolare l’erosione della emigrazione. Mi riservo ulteriori interventi per contestare, punto punto, argomenti del tutto estranei al tema, che appaiono limitati solo a strumentalismi di maniera o al perseguimento di obiettivi diversi, ristretti in un ambito di campanilismi, municipalismi, localismi, particolarismi, egoismi, oramai del tutto anacronistici. Lo status quo è un danno enorme reso alle Comunità

*Comitato per la istituzione di un Comune unico nell’area sud-cosentina

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