Presentato a Roma il libro di Francesco Garofalo “Dal di-vino al Divino”
DON Drink, il “religioso agnostico che si fece conquistare dagli angeli” protagonista di quest’ultimo romanzo di Franco Garofalo, è prima di tutto e sopra tutto un uomo. Un uomo che, nelle mirabili pagine del romanzo, si fa carico dei drammi ma anche delle bellezze dell’esistenza umana: l’amore nelle sue varie forme, il tradimento, il peccato, il bene, il male, la vita, la morte, l’oltremorte. Tutto e il contrario di tutto è nella storia di don Drink. L’uomo in tutte le sue spigolature. Anche la fede e prima della fede il ripiego nell’alcool come fuga ma anche come piacere per l’euforia provocata dal vino. Vino che diventa divino metaforicamente come sangue di Cristo. Don Drink è sempre un prete. E nella sua vita c’è anche il tabacco ed altre debolezze umane. Dalla prima pagina fino all’ultima mai sfuggirà al lettore che don Drink è un uomo. Tutto è raccontato dall’esperto sociologo approfondendone gli immancabili aspetti psicologici che non abbandonano mai la narrazione.
Il volume di Franco Garofalo, che ha avuto la sua presentazione ufficiale nell’Aula Nassirya in Senato (nella foto d’apertura) con la partecipazione di Marrelli, Pellegrino, Sarcone, Gallo, Verdesca, Grenca, Perosino, Manera, Cerenzia, Bozzo ed il saluto della senatrice Domenica Spinelli, viene qualificato dallo stesso autore come un romanzo ma a nostro parere è tale solo nella forma che ne rende piacevole la lettura. In verità esso è un volume universale che, in una storia comune e frequente, impianta e costruisce l’analisi sociopsicologica di tutte le fragilità umane andando a toccare i più inquietanti aspetti del vivere di sempre. Il senso di rifiuto con il dramma interiore che determina, la fuga dalla realtà, la complicità dell’ambiente che dovrebbe costituire un rifugio, il ripiego nell’alcool e, infine, il ritrovamento della fede unitamente al valore della persona ed al senso dell’anima. Eccolo il messaggio universale dell’opera di Garofalo: la riscoperta, dopo tante debolezze, dell’io. L’io che non muore mai e che è la base di tutto. Un seminarista, poi prete agnostico, passando per una “visione culturale della religione”, giunge alla comprensione di se e del mondo che lo circonda.
Il valore psicologico ed educativo dell’opera di Garofalo sta tutto qui: riuscire a restituire a noi stessi , all’uomo moderno in specie, il senso ed il valore dell’esistenza, il senso ed il valore della persona nella sua unicità. Ed infatti Drink, non ancora don Drink, “vive in una comunità in cui l’apparenza è tutto e chiunque si mostri diverso viene emarginato”. La storia nasce figurativamente “in quei vicoli senza nome” dove come scrive il prof. Garofalo, “la vita si agita, ma non di energia vitale. E’ una vitalità cupa, fatta di esistenze disperate” dove “gli uomini si muovono con sguardi torvi e desideri nascosti mentre le donne, stanche e segnate dal tempo, offrono la loro compagnia a chi cerca un modo per sfuggire ai propri pensieri”. Garofalo, con questo suo ultimo romanzo, riesce mirabilmente a ”raccontare” il percorso insidioso e struggente che dall’oppressione, addirittura dall’esclusione, raggiunge infine la maturità, la libertà dell’essere. Merito unico ed indiscutibile per un romanzo.
(Ciro Oddo)