Fabiano: “non si tratta solo di migranti”. Povertà e disagio delle periferie esistenziali *

di Gaspare STUMPO *

Pino Fabiano è il direttore dell’Ufficio Migrantes dell’Arcidiocesi Cosenza-Bisignano. E’ anche componente del Consiglio di Amministrazione della Fondazione Migrantes. Il suo è un impegno costante al servizio degli ultimi. Lo abbiamo incontrato a Cosenza.

Direttore, che tipo di organizzazione è Migrantes. Di cosa si occupa? Migrantes è un ufficio pastorale dell’Arcidiocesi Cosenza-Bisignano il cui impegno è quello di promuovere l’attenzione verso gli emigrati italiani all’estero, i migranti residenziali e quelli legati al diritto di asilo e alla protezione internazionale. Le attività messe in campo dalla nostra organizzazione sono di tipo pastorale per i migranti cattolici e, in una ottica di dialogo interreligioso ed ecumenico, quelle che riguardano altre confessioni.

Citando il Papa, il cardinale Gualtiero Bassetti ha detto: “più utili dei discorsi sono le proposte concrete”. In realtà, come si affronta o, meglio, come si dovrebbe affrontare la questione della immigrazione nel nostro Paese? Sicuramente svelando il quadro legato alla dimensione della oggettività del fenomeno. Quella attuale è una percezione di invasione ma in realtà i numeri dicono altro. Oggi viviamo un tempo di paura e la paura è legittima. Se la paura diventa blocco, impedimento alla relazione con l’altro, è un problema. L’Italia è un Paese in cui il saldo tra gli emigrati italiani che vanno all’estero e gli stranieri che arrivano è negativo, per cui occorre smentire il racconto dell’immigrazione come invasione e pericolo, esaminare la realtà e capire le motivazioni di chi arriva e cosa fa. Come Migrantes proviamo a fare questo: una operazione di verità che aiuta a superare la paura.

Perché, in una società condizionata dai cambiamenti sociali ed economici, si fa fatica ad affermare una nuova cultura dell’accoglienza e della solidarietà, aldilà del credo politico o religioso? E’ in questione il tema dell’umanità, l’idea che l’altro è un pericolo, che toglie qualcosa. Papa Francesco dice: “non si tratta solo di migranti”. I migranti sono il segno dei tempi. Il nostro è un mondo diseguale. Un mondo in cui gli uomini e le donne si muovono per trovare maggiori opportunità. Il tema quindi non è solo quello dei migranti. E’ quello delle periferie esistenziali a cui non sfuggono i nostri territori. Quello tra la ricchezza concentrata in poche mani e la povertà, anche degli italiani che si affacciano alle varie realtà caritative e di assistenza.

Migrantes ha affrontato spesso la vicenda dei cosiddetti minori non accompagnati. Le cronache raccontano di persone che più di tutte subiscono il trauma del distacco, del viaggio e dell’approdo, quindi del futuro una volta raggiunta la maggiore età. Che tipo di esperienza fanno questi ragazzi? Questa è una parte di immigrazione che esprime fragilità e ricchezza. La fragilità è legata ad una questione oggettiva: un ragazzo di 13 o 14 anni che parte dal Niger (o da un altro posto del continente africano), attraversa il deserto, viene torturato in Libia, affronta il viaggio della speranza attraverso il Mediterraneo e approda sulle nostre coste, vive un’esperienza che non è quella tipica di un adolescente. Quelli che abbiamo incrociato lungo il nostro cammino li abbiamo affiancati da tutor adulti, compagni di percorso. Tuttavia il dato resta drammatico: nel biennio 2017/2018 circa ottomila ragazzi sono diventati irreperibili, sono scomparsi. Ad aggravare la situazione hanno contributo gli ultimi cambiamenti normativi (Decreti Sicurezza) che hanno inciso sull’iter di regolarizzazione della presenza di questi giovani al compimento della maggiore età.  

Secondo i numeri contenuti nel Rapporto Caritas-Migrantes 2018/2019 oltre 5 milioni di stranieri residenti in Italia (lavoratori, studenti, famiglie) vivono una doppia esclusione nel senso che seppur regolari, stabili e con una esistenza anche importante, il più delle volte non sono considerati cittadini italiani a tutti gli effetti, correndo il rischio di essere discriminati. Perché, a differenza di altre nazioni, non riusciamo, in Italia, ad essere pienamente inclusivi? Per la paura della diversità. Il nostro è un Paese senza memoria: non ricordiamo chi siamo stati. Che siamo stati anche noi migranti in vari posti del mondo e per certi aspetti ancora lo siamo. I cinque milioni sono persone non numeri, la maggior parte non proviene dall’Africa. Rappresentano l’8% della popolazione, lavorano e sono già integrati. Molti sono di seconda e terza generazione. In Italia esiste una grande confusione. Il nostro Paese non riesce a dotarsi di strumenti di legge adeguati per garantire a queste persone di esprimere una presenza regolare, certamente positiva, all’interno del territorio.   

Perché è necessario mantenere alta l’attenzione sul diritto alla protezione internazionale che, purtroppo, sembra essere costantemente sotto attacco? Cosa è cambiato, quali sono le differenze in materia di leggi prodotte dai Governi che si sono succeduti negli ultimi anni. Mi riferisco a sbarchi, sistema di accoglienza e gestione dei flussi immigratori? Mentre la Germania si è dotata di un sistema di asilo ordinato, l’Italia non ha dato vita ad un sistema di accoglienza reale, basti pensare ai Cas (Centri Accoglienza Straordinari). Quella dello Sprar è stata una intuizione positiva rispetto all’accelerazione del processo di accoglienza: piccoli numeri, ospitalità diffusa per facilitare il meccanismo della integrazione. I Decreti sicurezza stanno creando una situazione di allarme per cui cui le grandi strutture possono ridiventare il centro dell’accoglienza privo di un meccanismo di personalizzazione, senza risorse per l’integrazione e con la sola garanzia di vitto e alloggio, con rischio di allarme sociale soprattutto nei piccoli paesi. Speriamo che attraverso l’impegno del ministro Lamorgese possa ripartire l’idea di strutturare un sistema di asilo e di accoglienza più adeguato.  

Si può essere fiduciosi? Si. Abbiamo una percezione del fenomeno che riguarda persone bisognose. In realtà i cittadini stranieri rappresentano una ricchezza per il nostro Paese. Si tratta di una popolazione giovane, istruita, che guarda al futuro positivamente e con una voglia di riscatto che spesso non abbiamo noi. Possiamo, sebbene con fatica, costruire una società più civile e plurale.    

Si parla spesso di “corridoi umanitari”. A volte se ne parla in maniera sprezzante nel senso che le organizzazioni non governative che si prestano a soccorrere e a salvare vite umane sono accusate di favoreggiamento dell’immigrazioni, soprattutto quella clandestina. Come sfatare quella che a volte assume il volto di una vera e propria campagna di odio? I corridoi umanitari sono una benedizione per l’arrivo in sicurezza delle persone. Il loro incremento potrebbe evitare la tratta degli essere umani e favorire un ingresso legale degli immigrati. Il soccorso in mare ha ricevuto invece un attacco virulento e feroce ma fortunatamente è sancito dal Diritto Internazionale aldilà di “scivolature” politiche che tuttavia noi rispettiamo.

La Calabria è stata (ed è ancora) terra di accoglienza. In fatto di immigrazione ha prodotto modelli importanti, anche significativi. Possiamo affermare che, grazie al nostro passato, non solo alla nostra storia ma anche e soprattutto, alla nostra cultura, questa terra (per certi aspetti anche sfortunata) continua a possedere una “sensibilità diversa” in rapporto all’accoglienza dello straniero? Il dato tragico della Calabria non è quello dell’immigrazione bensì quello dello spopolamento. I nuovi arrivi possono dare la possibilità ai nostri territori di rigenerarsi. La nostra è una terrà accogliente, per storia e per identità. Le dominazioni, le contaminazioni che ha vissuto esprimono una grande capacità di accoglienza. La Calabria esprime bellezza ma è condizionata da difficoltà che rischiano di scatenare una guerra tra gli ultimi e i penultimi. Educare all’incontro facendo superare ostilità, paure e pregiudizi è uno dei compiti che dobbiamo affrontare come cittadini e come associazioni.

Quali sono stati e quali saranno, nei prossimi mesi, i programmi di Migrantes con riferimento alla nostra regione, al nostro territorio? Il nostro obiettivo è quello di continuare con le attività di cura pastorale delle Comunità presenti a Cosenza e in Calabria. In più, sostenere i rifugiati e i richiedenti asilo con progetti che riguardano la formazione e l’animazione territoriale per l’ospitalità diffusa di concerto con le Parrocchie. Trasversalmente puntiamo all’incontro attraverso esperienze che chiamiamo convivialità delle differenze con campi scuola, meeting per aprire il cuore e la testa in linea con quanto sostiene Papa Francesco: “il piccolo passo fa il grande cammino della storia”.

* (gasparemichelestumpo@pecgiornalisti.it)

Fonte: Calabria che Accoglie 2.0

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