Sit in e proteste per chiedere la riapertura dei piccoli ospedali. Ma Rogliano resta in silenzio

di Gaspare STUMPO *

IL COVID e le conseguenze socio-assistenziali legate alla Pandemia hanno acuito (e messo a nudo) le annose problematiche del comparto sanitario calabrese sia per quanto riguarda il servizio territoriale (Asp) che per quanto riguarda quello ospedaliero (Ao). Situazioni-limite (nonostante la disponibilità, la preparazione e lo spirito di abnegazione degli operatori sanitari) riscontrabili nelle strutture ambulatoriali e nei plessi nosocomiali, dove la carenza di posti-letto dedicati e di personale continua ad essere motivo di preoccupazione nonché elemento determinante per la condizione di “Zona Rossa” decisa dal Governo centrale. Da anni la Calabria è una regione commissariata per via delle gravi criticità che attengono all’organizzazione e al bilancio del suo sistema Sanità. E per le stesse “aree grigie” che lo hanno “avvolto” e “condizionato” ponendolo purtroppo in una situazione difficilissima. Il discutibile quanto imbarazzante atteggiamento della struttura verticistica, lo stallo nella individuazione di un nuovo management circa la guida (o la conclusione) della fase commissariale, ne sono la reale ed amara testimonianza. Nei giorni scorsi un gruppo di sindaci si è fatto portavoce delle difficoltà e delle istanze della popolazione manifestando a Roma, davanti a Montecitorio. Prima di loro una moltitudine di cittadini è scesa in strada per esprimere forte dissenso rispetto ad un contesto unico, grave e per certi aspetti inquietante. Ha chiesto il potenziamento della Sanità pubblica per l’accesso alle cure e più competenza, equilibrio e trasparenza negli atti.

E, ancora, esponenti politici ed amministratori hanno sollecitato la riapertura ed il riordino “in funzione calda” dei piccoli ospedali (Praia, Lungro, San Marco Argentano, San Giovanni in Fiore, Acri, Trebisacce, Cariati, Rogliano). Manifestazioni si sono svolte in diversi centri della provincia mediante organizzazione di cortei, sit-in e persino di composti caroselli di auto. E’ accaduto nelle grandi città, è accaduto nelle zone in cui sono presenti realtà sanitarie funzionali a territori montani o periferici che la “politica” ha scelto di chiudere, ridimensionare o riconvertire in nome di un Piano di Rientro che ha fallito sulla base di soluzioni numeriche in perfetto “stile anglosassone” a discapito della funzionalità e della stessa umanità del “modello italiano”.

Vale la pena ricordare, con orgoglio, le manifestazioni di protesta (nelle foto) contro la rimodulazione del presidio “Santa Barbara” attuata a partire dalla chiusura del reparto di Ostetricia e Ginecologia fino alla dismissione del Punto di Primo Intervento che ha segnato il “De Profundis” delle attività in emergenza del nosocomio, nonostante quest’ultimo fosse stato ristrutturato e dotato di moderna strumentazione. Sono lontani i giorni in cui sindaci, consiglieri comunali, associazioni, comitati, studenti e gruppi spontanei di cittadini si sono riversati in strada per gridare a squarciagola “l’ospedale non si tocca”. E mentre a Paola, a San Giovanni in Fiore, a Soveria Mannelli e in altri capoluoghi d’area, in piena emergenza Covid, la gente è tornata in strada per protestare contro il depauperamento, i cittadini di Rogliano (e della Valle del Savuto) sono rimasti in silenzio avallando posizioni attendiste, rinunciando alla protesta spontanea condizionati, forse, dal fatalismo e dallo scoraggiamento frutto di anni di proclami seguiti da promesse non mantenute. E’ risultato particolarmente evidente, infatti, il senso di smarrimento e la rassegnazione all’interno delle Comunità, anche dopo la riduzione o la chiusura di servizi essenziali. Che fare? Per la Sanità calabrese il futuro è senz’altro una incognita. Ci saranno ancora elezioni e una proroga della gestione commissariale. Forse un nuovo riordino del nostro Ospedale. A proposito, cessata l’epidemia (si spera al più presto), verrà riaperto il Reparto Dialisi?

* (gasparemichelestumpo@pecgiornalisti.it)

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