“Il Sud rinasce se rinascono i partiti politici” *
di Orlandino GRECO *
È ORAMAI evidente il vulnus democratico nel quale versa la Calabria ed il Paese intero. Da tangentopoli ad oggi, lo svuotamento dei partiti novecenteschi, rispetto ai quali ne è rimasta soltanto una parvenza ideologica, ha comportato la nascita di quelli che i sociologi americani definiscono “Cartel Party”, ossia comitati elettorali che si riuniscono e favoriscono la partecipazione solo durante gli appuntamenti del voto, salvo poi concentrarsi sull’attività amministrativa ed istituzionale degli eletti. Un concetto di militanza diametralmente opposto rispetto a quanto conosciuto nelle vecchie scuole di partito, vere fucine di classi dirigenti consapevoli della loro mission e delle istanze da difendere. Gli effetti di questo nuovo modo di concepire l’impegno politico hanno segnato la storia della nostra Repubblica dagli anni ‘90 fino ai giorni nostri. Il primo di questi è stato la personalizzazione dello scontro politico e l’incarnazione dei partiti (e il destino) nella figura del leader, il quale intrattiene un rapporto diretto con gli elettori, quasi come se la collegialità nelle scelte, tipica dei partiti di massa, fosse suffragata dal consenso della cosiddetta società civile, rimuovendo lungaggini burocratiche e svilendo il ruolo della mediazione tra classi dirigenti. In questo contesto, allo svuotamento dei corpi intermedi ha fatto seguito un continuo assalto al Parlamento e al suo potere legislativo, in quanto percepito come causa ostativa dell’iniziativa politica dei leader (molto meglio definirli capi carismatici), non solo mediante tentativi di instaurare un sistema bipartitico, contrario ai precetti costituzionali della rappresentanza delle minoranze, ma anche attraverso leggi elettorali iper-maggioritarie che cooptano in sostanza la deputazione, vincolando il mandato elettorale dei parlamentari alla fedeltà verso il segretario del proprio partito (spesso coincidente, a differenza del passato, con la presenza del segretario stesso in Parlamento).
Venuto meno, dunque, quell’alto senso delle Istituzioni tipico di chi, facendo militanza, magari amministrando la cosa pubblica, ha portato, nella continua mediaticità dello scontro politico, alla demonizzazione non solo degli avversari stessi ma anche del concetto di interesse in politica, come se ogni istanza proveniente dai partiti coincidesse con interessi propri o a beneficio di una cerchia ristretta di persone, a scapito del bene comune.
È ormai giunta l’ora, affinché si scongiurino guerre fratricide e si perda definitivamente il senso di Comunità, di tracciare un bilancio della storia. Quella del Mezzogiorno è da sempre una storia fatta di Comunità, solidarietà e responsabilità sociale, dimostrata anche nell’ultima emergenza pandemica. Una tenuta sociale che anche a queste latitudini rischia di venir meno perché la disperazione è tanta. Forte è il disagio sociale, frutto di una disoccupazione e di una migrazione ai massimi storici ed un ceto politico subalterno alle politiche centraliste delle segreterie romane. Urge, dunque, un ritorno alla politica e ai luoghi della politica, capaci di selezionare la migliore classe dirigente ed esaltandone la militanza e la competenza fuori da ogni schema ideologico. Non è più tollerabile un impegno politico tutto incentrato al carrierismo e a chi la spari più grossa, non è concepibile che dopo le elezioni vi siano tribù, tifoserie e truppe cammellate che continuino ad incitare l’odio verso l’avversario politico, facendo venir meno non solo il rispetto verso la legittimità delle posizioni altrui ma fomentando un clima poco costruttivo in una normale dialettica tra maggioranza e minoranza che dovrebbe caratterizzare ogni consesso pubblico.
Nel frattempo, una globalizzazione sempre più sregolata ha fatto sì che realmente le nicchie di potere assumessero rendite di posizione indipendenti dalla politica stessa, mentre i bisogni reali della gente rimanessero inascoltati o mal risolti da una classe politica ormai concentrata a parlare su se stessa e per se stessa.
Promesse roboanti, rinnovamento anagrafico magari senza nessuna esperienza, stravolgimento dell’esistente, tesi spesso non confermate dai fatti perché figlie di riflessioni non approfondite, il cosiddetto pensiero breve che viaggia alla velocità di un tweet, hanno determinato la fine dei partiti politici come laboratori di idee, quelli che soprattutto al Sud creavano coscienza civile e comunità sociali, radicati nella società come corpi intermedi tra le istanze dal basso e il potere legislativo, capaci di formulare programmi di lunga visione, attraverso concezioni ideali, politiche e studio.
Mezzogiorno, Sanità, Scuola, Welfare, Sviluppo economico e perfino il Recovery Fund sono ormai merce di scambio per qualche manciata di voto in più nei sondaggi. Temi che, a causa della mala politica, rischiano di far sprofondare il Paese nel baratro se non affrontati nella giusta maniera.
Tutto questo perché le scelte fatte non sono basate su convinzioni così solide da essere aperte al compromesso e al contributo di tutti, anche di chi la pensa diversamente ma in modo costruttivo.
C’è bisogno di una reale presa di coscienza da parte di tutti: un nuovo modello partecipato di democrazia, che guardi al futuro senza perdere di vista le buone prassi della mediazione e mai del compromesso, della concertazione e della selezione di classi dirigenti figlie di militanza, conoscenza e competenza. Un nuovo modello di partecipazione slegato da ciò che piace ai sondaggisti ma legato a ciò che serve al Paese, che non sia solo legata al momento elettorale ma che, al contrario, valorizzi il pluralismo delle vocazioni territoriali degli interessi delle Comunità.
* Segretario federale de L’Italia del Meridione