Rende, Alessandro Chiappetta è Cristoforo Santanna in “I colori di Dio”
SUCCESSO per “I colori di Dio”, monologo scritto e interpretato dal giornalista Alessandro Chiappetta, per la regia di Francesca Manna. È una calda sera d’estate nel paese di Rende quando, ai piedi del Castello Normanno, si balza nel passato e in quello che era, da una parte l’arte in Calabria nel Settecento, dall’altra la vita e i sentimenti del pittore calabrese Cristoforo Santanna. Gli elementi in scena, i sanpietrini e il castello formano così un’unica grande scenografia, capace di trasportare lo spettatore in uno spazio senza tempo, dove tutto sembra in qualche modo “fermarsi”; l’intera cornice è inoltre arricchita dai suoni naturali delle cicale.
Nato nel 1735 a Marano Marchesato da una famiglia povera, Santanna fu pittore di grande talento e di spiccate doti artistiche. L’assidua frequentazione, nella giovinezza, delle chiese di Rende, accrebbero in lui la passione per la pittura; in particolare per l’arte cristiana. La sua dedizione al lavoro gli valse l’etichetta del “fa presto”, poiché appena terminato un quadro ne iniziava subito un altro; per via dell’abbondanza di commissioni. Nel suo tempo tanti furono committenti e aspiranti, per la maggior parte esponenti del clero, che bussarono alla sua porta ma che, paradossalmente, tale fama difficilmente varcò i confini calabresi. La sua specialità furono infatti la creazione di immagini sacre, tra le più richieste nelle varie committenze.
Il monologo di Alessandro Chiappetta è un excursus nella storia di Santanna, raccontando la fortuna che ebbe nelle committenze, ma parimenti le sue gioie e suoi dolori, cercando di creare un punto di congiunzione tra il pittore e l’uomo. A tratti sembra una sorta di sfogo, riferendosi in particolar modo alle continue richieste di dipinti a tema religioso; e anche una preghiera rivolta direttamente a Dio, per tutti gli artisti. Durante lo spettacolo è stata rimarcata anche la difficile condizione di chi è talentuoso, ma che si trova in un posto come la Calabria, e la conseguente necessità di trasferirsi in luoghi come Napoli, così da poter affinare al meglio le proprie capacità e spiegare “la potenza che poteva sprigionare un quadro”.
“La cosa che mi aveva molto colpito era non tanto la sua levatura artistica, ma la sua storia umana, che nella scrittura drammaturgica ho voluto provare a immaginare come un’ambizione repressa di un’artista che aveva i mezzi per diventare un Caravaggio, ma che purtroppo si è ritrovato a vivere la dimensione di artista locale” – commenta così Alessandro Chiappetta, autore e interprete del monologo – “E venendo da una famiglia poverissima non aveva nemmeno la possibilità di finanziare una sua permanenza fuori. Attività poco conosciuta in quel, e purtroppo anche in questo tempo, perché sappiamo che la produzione artistica di Santanna alle nostre latitudini è molto vasta. A come dicono gli esperti alcuni quadri forse ancora non sono stati scoperti, la sua attività fu molto influente e questo spiega perché fu così tanto ricercato da chi gestiva le parrocchie, i nostri avi si trovavano a pregare di fronte queste immagini la cui bellezza ancora oggi ci stupisce. Bisognerebbe parlarne di più e cercare di capire ciò che è stata l’arte nella Calabria del ‘700, un secolo particolare perché altrove rifiorivano artisti e gusti lontani da quello che c’era qui; ma ciò non toglie” – chiosa Chiappetta – “l’importanza della sua arte, e il bisogno di conoscerla più a fondo.”
(Francesco Sarri)