Repressione del dissenso dei Calabro-Valdesi. Il ruolo di Gaspare del Fosso
di Vincenzo NAPOLILLO *
FILIPPO De Boni dichiarava, nel suo libretto intitolato L’inquisizione e i calabro-valdesi, di aver letto in un registro ufficiale del 1545 che San Sisto, in provincia di Cosenza, aveva 1450 fuochi, cioè una popolazione di circa 6000 anime, «che fu tutta sterminata». Sono due affermazioni gravi, facilmente confutabili. Credendo che i fuochi fossero 1450 (si trattava invece del totale degli abitanti), egli moltiplicò per 4 la suddetta cifra e attribuì al villaggio di San Sisto un numero di abitanti pari a quello di valdesi esistenti nella città di Venezia, accertato dal ministro Pierre Gilles nella sua visita alla città lagunare. I fuochi erano costituiti dai nuclei familiari soggetti a tassazione, composti in media da quattro oppure sei componenti o anime. La numerazione dei fuochi non era difficile a farsi, poiché si contavano i comignoli che sporgevano sopra i tetti delle case.
Luigi Amabile, insigne storiografo, documentò con assoluta precisione che nel 1545 San Sisto aveva appena 189 fuochi e che Guardia Fiscalda (oggi Guardia Piemontese) contava 160 fuochi. In Calabria Citra le autorità religiose misero in atto una feroce persecuzione dell’eresia valdese-calvinista, chiamata impropriamente «luterana», poiché nell’accordo di Chanforan (1532) i valdesi aderirono al calvinismo. Nel novembre del 1560 venne inviato come commissario apostolico a Montalto, San Sisto e Guardia il domenicano Valerio Malvicino, che emanò disposizioni molto dure contro «i nemici della fede», che però non furono rispettate dai valdesi. Le persecuzioni ripresero nell’aprile del 1561. Circa quaranta eretici, braccati dai soldati agli ordini del barone Castagneto, governatore del ducato di Montalto, si difesero con le armi. Nello scontro furono uccisi cinquanta soldati e furono feriti soltanto due eretici «ultramontani». A Napoli, capitale del viceregno, la notizia fece scalpore: i valdesi di Calabria avevano osato rivoltarsi contro la legge umana e quella divina.
Il 3 giugno del 1561, San Sisto fu presa e furono date alle fiamme 54 case. Due giorni dopo, furono incendiate le case di Guardia, che erano complessivamente 76, affinché non potessero farvi ritorno i valdesi che si erano dati alla macchia per sfuggire alla cattura. Ma i calcoli di De Boni e di molti studiosi sul numero degli abitanti uccisi per l’eresia non tornano. Sotto i tetti delle case di San Sisto e di Guardia, che erano 130, potevano abitare seimila anime? I documenti attestano che a Guardia, casale di Fuscaldo, 60 uomini furono impiccati e buttati giù dalle torri. Oltre 1300 eretici furono incarcerati a Montalto (Uffugo) e a Cosenza.
In una lettera del 12 giugno 1562, Ludovico d’Appiano, testimone oculare della persecuzione, riferiva che a Montalto, nel piano davanti alla chiesa di San Francesco di Paola, erano stati scannati 86 relapsi, perché erano tornati a seguire la dottrina eretica dopo averla abiurata, e che gli inquisitori avevano fatto l’esecutione di duemila anime.
Nella lingua latina il verbo excutere significa esaminare, sicché le autorità inquisitorie ricercarono e interrogarono duemila eretici, ma non mandarono a morte 2000 persone, come falsamente ancora si ritiene.
Il compito di pacificazione fu affidato dal papa Pio IV a Gaspare del Fosso di Rogliano, precisamente di Marzi, arcivescovo di Reggio Calabria. Egli si mise presto all’opera. Nella lettera del 3 agosto 1561, l’arcivescovo assicurava che la moltitudine di San Sisto aveva abiurato, era stata assolta dalla scomunica ed era stata liberata dal carcere, mentre gli eretici di Guardia, «a persuasione» del loro barone Salvatore Spinelli, avevano deposto le armi «nelle mani della Corte regia».
In conclusione, qualunque sia stata l’entità della spietata strage e degli eretici perseguitati per i loro «maledetti errori» (così li definiva il cosmografo Giovanni Lorenzo D’Anania), l’azione dell’inquisizione – nella Calabria della prima metà del 1561 – è stata oltremodo riprovevole ed efferata. Il papa Giovanni Paolo II ha condannato, nel 1994, i metodi d’intolleranza e di violenza e chiesto perdono «per le debolezze degli uomini di Chiesa».
[VINCENZO NAPOLILLO, I Valdesi e l’Inquisizione. Nuova ricerca storica, Cosenza, Edizioni Nuova Santelli, 2016].
*Accademico