Torneranno gli abbracci e gli incontri di mani. Smettere di sperare è una crudeltà *

di Giuseppina DE MARCO *

UN TEMPO sospeso il nostro, dove il calore della pelle sembra si sia addormentato sotto un cielo con un sole in esilio, ansioso di tornare ad illuminare la terra e i suoi popoli.

Nonostante l’amaro batta forte alle pareti del mondo in pandemia, è straordinario poter cogliere il dolce nella realtà. Si riscopre così, nella tempesta, l’essenziale bisogno di consegnarsi all’umanità, in un’autentica appartenenza alla fraternità. Ci si interroga sulla reale consistenza della felicità e la risposta appare semplice. L’ordinario, ora deformato, diventa prodigioso. In un incessante bisogno di contatto, soffocato da un crudele, ma necessario distacco dal terremoto leggero di libertà, è risante compiere un pellegrinaggio nell’io ed esplodere di incertezze per poi ricomporsi in semplici, ma non banali verità.

La devastante emergenza Covid-19 ha aggredito impetuosamente ogni rete sociale e personale delle nostre Comunità. Gli egoismi della vita economica, politica e amministrativa saltano fuori, con una freddezza ostile, ma non astratta. Un intero pianeta in ginocchio, devastato da una epidemia che sembra non voler cessare. In un concitato affanno a vincere questa battaglia, si sprofonda nei tumulti delle istituzioni che troppo hanno succhiato. Dalle violazioni di stato alle invasioni di ecozone, dall’economia che ha prevalso sulla vita, al capitalismo che ha depredato istruzione, sanità e infrastrutture. Bisogna ora avere il coraggio di indossare le armi della speranza e della filantropia per dominare il caos e la paura delle poveri genti. Le misure adottate nei decreti normativi, seppur drastiche, sono vitali ora più che mai. Gli sforzi richiesti alle strutture familiari sono immensi e ciò che ne segue sono impoverimento e depressione. Cosa può alleviare il tremendo del contemporaneo? Possono alleviarlo la certezza di essere sostenuti e la presenza solida di un’ istituzione che colmi i vuoti di questa crisi. Ci occorre l’amore, una nuova forma di solidarietà; una solidarietà raddoppiata e intergenerazionale.

Le parole sono bellissime, ma le parole che diventano azione, lo sono di più. “Chi puo’ faccia”, è ora il più bel verso poetico che si possa tramandare. “Chi può faccia”, è il bacio di un fratello all’Umanià.

Esistono sciacalli, speculatori e la cronoca giornaliera ce ne dà la testimonianza, ma con commozione possiamo notare nel mondo globale, un aspetto che risalta e che rincuora, quello della solidarietà. Spesso ci siamo sentiti invulnerabili e al di sopra di problemi che credevamo potessero non toccarci personalmente e invece questa pandemia, ha dimostrato a noi tutti, come non esistano confini, né scale sociali inattaccabili. Potenze della modernità, è vero, hanno preferito voltarci le spalle, ma la generosità tacita esiste. Ci sono gesti che si configurano come messaggi di luce e noi, siamo un popolo che ha bisogno di questi messaggi. Un popolo che ha bisogno di azioni che appaiano come candela nel buio. Gocce di acqua che dissetano nel bioma del deserto. Manifestazioni di coraggio di chi accarezza le fragilità e ha le spalle grandi capaci di reggere oltremisura. In un’esortazione di speranza, perdiamoci ora per ritrovarci insieme al crescere del grano. Torneranno gli abbracci e gli incontri di mani. Smettere di sperare è una crudeltà. Confidiamo tenaci, nel valore assoluto del bene comune. Che non esistano più giorni monotoni, viviamo appesi agli angoli della gioia, sempre.

In un presente che non esaurisce la malattia e dove i sorrisi nascono e muoiono in strati di tessuto salvavita, siate resilienti. Barlumi di anime bianche, galopperanno a vendicare le attese.

*Autrice

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